romanzo di Ada Pirocolpo (1994)


"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"

ERACLITO, Frammento 52 (Diels)

09/08/11

Capitolo 3 - CHIAROSCURO: RICCARDO E FABRIZIO

Arrivò in autunno a Firenze un nuovo studente, da tutti guardato con sospetto.
"Oh tu guarda! C'è 'l brunetto!".
Così egli veniva chiamato per il suo scuro viso dai tratti meridionali.
Presto egli seppe farsi accettare quasi da tutti, soprattutto da Ruben che presto divenne suo confidente.
Questo arrivo provocò, però, qualche tensione col suo naturale antagonista: Ruben, infatti, ricopriva il ruolo di confidente per il suo amico Riccardo, al quale il fato volle assegnare caratteristiche genetiche e tratti somatici opposti a quelli propri del nuovo arrivato, il 'brunetto': Riccardo era chiaro di carnagione e aveva fattezze nordiche.
Riccardo e Ruben si erano conosciuti diversi anni prima. La loro conoscenza avvenne tramite un rapporto inizialmente molto conflittuale, a causa di una forte opposizione caratteriale. Essi erano sempre sul punto di litigare; entrambi appartenevano a compagnie di amici rivali. Spesso Riccardo amava organizzare scherzi goliardici che prendevano di mira anche Ruben. Questi sopportava pazientemente, non senza nutrire un senso di disprezzo nei confronti di Riccardo. Dopo qualche anno di tensione inaspettatamente ecco aprirsi un varco di luce in quel loro rapporto, scoppiò una scintilla luminosa destinata ad accendere una bella amicizia. Il biondo Riccardo cercò di fraternizzare col rosso Ruben: i due ragazzi divennero così uniti da dividere ogni giorno la colazione e le confidenze personali. Soprattutto Riccardo cercava Ruben, sicuro della di lui disponibilità: fu questa la prima esperienza di reale condivisione provata da Ruben. Il loro cercarsi disinteressato travalicava il personale tornaconto. Riccardo cercò ancora l'amicizia di Ruben anche quando i loro incontri sui banchi del liceo si conclusero.

Ruben cominciò soltanto allora a pregustare il senso più puro dell'amicizia, che - come Aristotele aveva descritto nell'Etica a Nicomaco - consiste nel ricercarla avendo come fine l'amico stesso, cioè il vero bene dell'amicizia, colui che le conferisce un colore che non sbiadisce; si scoloriscono invece  le tinte dell'amicizia legata all'interesse, all'utilità, o al solo piacere che ne emerge.





Con Riccardo, Ruben trascorse indimenticabili giornate ed esperienze, passeggiando sui lungarni e intrattenendo conversazioni sull'epilogo del suo rapporto con Scozia e su Chicca, la ragazza di Riccardo. Entrambi si trovavano per cenare soli in tipiche hostariae della vecchia Fiorenza. L'attenzione per gli ultimi e per gli oppressi accomunava i due amici.


Riccardo, di famiglia monarchica, amava - per reazione - le teorie di Karl Marx, il suo sistema filosofico-economico, le idee del socialismo rivoluzionario più concreto e meno utopistico possibile.

Riccardo amava anche leggere quanto il Romanticismo aveva prodotto nella Germania e nella Francia, tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento. Nei simboli dei poeti maledetti, nella realizzazione letteraria delle sue utopie, piene di senso del riscatto sociale, Riccardo si scopriva un demone assetato di dignità. Anche Nietzsche infondeva in lui una sensazione d'onnipotenza, una volontà di potenza, nella quale Riccardo amava crogiolarsi contrapponendosi alla massa inerme degli uomini comuni; egli si isolava così nella sua eburnea torre di autocompiacimento e di magnificenza, fatta di belle forme e perfezioni, da lui faticosamente costruita negli anni della sua adolescenza. Ruben era l'interlocutore preferito del biondo Riccardo perché egli era speciale, proprio come l'amico. Ruben non apparteneva alla massa, infatti, secondo il modo di percepirlo proprio di Riccardo. Egli era distante da Silvestro e dal suo materialismo perbenistico. Riusciva ad andare d'accordo anche con Silvestro, tuttavia, senza strumentalizzarne il rapporto. Riccardo s'intratteneva pure con Silvestro ma spesso lo derideva, con una sfacciata e capace ilarità  e un acuto senso del sarcasmo sconfinante nella provocazione cinica. Riccardo parlava a Silvestro senza che questi riuscisse, la più parte delle volte, a capirlo. Riccardo e Ruben amavano intrattenersi ridendo gustosamente, narrandosi a vicenda le situazioni simpatiche vissute in presenza di Silvestro. Entrambi riuscivano a cogliere ciò che di patetico colorava realmente l'atteggiarsi di Silvestro.

Proprio Silvestro invitò a cena, dopo una manciata di anni, alla presenza della sua famiglia sia Riccardo sia Ruben. Entrambi i suoi compagni vennero trattati regalmente e considerati con molto senso dell'ospitatlità. Fu quella una serata brillante. A dominare la conversazione, senza forzatura alcuna, fu stranamente Ruben... Come mai? Ciò fu reso possibile da un fatto non sottovalutabile: Ruben era molto caro sia a Riccardo sia a Silvestro; e, nondimeno, Ruben era amatissimo dai genitori di Silvestro, i quali non avevano esitato temporibus illis a trovare un compagno di giochi per il loro unico e caro figliuolo. La lontananza evidenzia i legami affettivi e li tratteggia nella mente con alta definizione; talvolta, davvero li colora di entusiasmo, infondendo un'aura che supera il naturale; fu quella una bella serata che ebbe per protagonista un'atmosfera calda e riposante fra amici ritrovati.
Avevano vissuto tante situazioni insieme Ruben e Silvestro: avevano studiato insieme, persino recitato insieme. In un atto comico, scritto dallo stesso Silvestro, Ruben era stato chiamato per fargli da spalla, ovviamente. Silvestro si era sempre ritenuto il più capace in ogni cosa, anche se  - forse - nella recitazione veramente lo era. Ottennero gran successo in quella rappresentazione teatrale avvenuta di fronte ai loro amici e ai compagni di studio, molti anni prima. Questi ultimi, tuttavia, apprezzarono maggiormente la sagacia e l'arguzia di Ruben nell'interpretazione. Ruben e Silvestro avevano sempre giocato insieme, avevano giocato all'amicizia - un gioco serio - interpretando loro stessi nella vita.

Chi erano Ruben e Silvestro?
Forse lo sapevano ma non se lo comunicarono mai, distanziati da un'aura di perbenismo che li aveva protetti da sempre. Ruben, soltanto, era colui che fra i due non si riteneva pienamente soddisfatto da quell'amicizia.

Più sensibile d'animo, psichicamente più maturo, Ruben si trovava meglio accanto all'amico Riccardo. Ciò che con Silvestro superficialmente accadeva e non giungeva mai al culmine, con Riccardo avveniva dopo poche parole, anzi dopo poche espressioni, dopo qualche sguardo, o neanche quello: c'era un'intesa istantanea fra loro. Essi si capivano e si libravano in voli pindarici a lieto fine, discorrendo e facendo il punto sulla loro vita. L'aspetto pragmatico era il tratto più caratteristico di Riccardo.


Il suo senso pratico era straordinariamente amalgamato al suo tendere verso l'infinito, verso le suggestive vette della perferzione. Lo sguardo cristallino dei suoi azzurri occhi intenerivano chiunque, ma al tempo stesso incutevano soggezione e rispetto. Solo i verdi occhi di Ruben potevano trovare familiarità in un tale difficile accordo fra alti contrasti. Fu proprio Riccardo a far notare la bellezza dello sguardo di Ruben al suo stesso amico, in un giorno di sole, nei corridoi affrescati di Palazzo Pitti, dopo aver guardato insieme  fior di dipinti. Ruben si stupì di sentirsi definire gradevoli quei suoi occhi, così degni di attirare contemplazione estetica proprio da parte di un amante del bello qual era Riccardo. Finora Ruben aveva sottovalutato anche i propri occhi.
Ruben stesso amava lo stridore dei contrasti e, infatti, presto egli attirò come una calamita l'attenzione del bruno ragazzo che aveva cominciato a frequentare il liceo con lui e Riccardo.



Il brunetto si chiamava, in realtà, Fabrizio; aveva tratti marcati e carnagione scura: queste caratteristiche lo avevano reso impopolare presso alcuni della cerchia di Ruben. Dopo due anni, Fabrizio cominciò a riscuotere grande consenso per la sua capacità comunicativa. Egli era destinato a diventare uno dei più longevi confidenti di Ruben. Presto ebbe quello che si aspettava, senza troppo faticare: si guadagnò l'interesse delle ragazze del liceo. E, quando si iscrisse all'Università, ebbe una fama di latin-lover, tanto da intrattenere relazioni con diverse fanciulle fiorentine. Era un vero rubacuori. Stringeva tanti legami affettivi quanto più superficiale era la sua capacità di collocare nella realtà ognuna di quelle presunte amicizie. Ruben presto lo mise in guardia: "Fabrizio, tu credi di avere degli amici e delle amiche. Sta' attento! Tu conosci soltanto molta gente...". Fabrizio, in realtà, non cercava altro che quello che avrebbe  potuto ottenere in compagnia, allegria, sole e serenità, e tutte quelle cose che gli avessero ricordato un po' la sua bella Napoli, così rumorosa, così colorata. Fabrizio era uno scugnizzo, sapeva tuttavia intrattenere una profonda amicizia quando voleva, e questo avvenne proprio con Ruben.

A Ruben Fabrizio ricorreva sempre nei momenti di crisi per discorrere a lungo e per consigliarsi. Ruben lo cercava molto meno ma riteneva sacro il legame con Fabrizio.
Un giorno, Fabrizio fece una grossa confidenza a Ruben: Fabrizio gli disse d'esser figlio di una famiglia di briganti napoletani e che era fuggito di casa proprio per costruirsi un'esistenza nuova cercando l'indipendenza e l'autonomia. Fabrizio aveva trovato tutto ciò a Firenze, ove viveva in un convitto per studenti, con i quali aveva buoni ma superficiali rapporti. Il suo punto di sfogo era infatti soltanto Ruben. Egli era l'unico a conoscere il passato di Fabrizio e, perciò, era il solo a cui questi si rivolgeva nei momenti difficili e, soltanto qualche volta, in quelli  facili: in questi frangenti Fabrizio preferiva, infatti,  le compagnie più leggere emeno impegnative. Fabrizio si laureò in matematica. Egli non aveva mai posseduto capacità nella scrittura, né aveva mai nutrito passioni letterarie o in campo umanistico; non aveva mai amato la poesia, né la filosofia: cosa strana per un napoletano verace. Il mondo era fatto di meri e specifici interessi e di bieco calcolo per Fabrizio: ecco il motivo della sua reazione contro tutto e tutti, che Ruben soltanto poteva comprendere conoscendo le origini di Fabrizio. Tra Fabrizio e Ruben l'amicizia s'intensificò sempre più, in modo calcolato: insieme essi intrapresero dei viaggi; si recarono anche in Grecia e vi soggiornarono un mese, ben regolando l'economia della loro permanenza.
Fabrizio era un vero tombeur de femme. La sua occupazione principale, durante le serate, consisteva nel cercare il miglior modo per conquistare una graziosa fanciulla. In Grecia il successo di Fabrizio fu enorme, tanto che Ruben fu costretto  persino a competere con lui forzando tuttavia la propria volontà. Erano però le universitarie fiorentine che interessavano maggiormente a Fabrizio. Questi considerava i rimanenti episodi amorosi soltanto delle avventure, delle semplici avventure.

Fabrizio, di temperamento sanguigno, caldo e passionale, spesso piangeva anche quando confessava a Ruben le sue crisi. Ruben riusciva  - non si sa come - a rintracciare sempre le giuste parole e le indicazioni più adatte per l'amico. Senza eccedere egli forniva a Fabrizio i suggerimenti che, poi, lo stesso Fabrizio decideva di seguire o abbandonare. L'amicizia continuò nel tempo in modo sorprendentemente duraturo, colorando di calde tinte i lunghi inverni trascorsi nella fredda e umida Firenze innevata.

Fabrizio era l'opposto di Riccardo.
L'uno caldo, l'altro freddo.
L'uno calcolatore ma sanguigno, desideroso di una rivincita, anche servizievole; l'altro pragmatico, distaccato, ribelle, nobile come un principe che viene servito.
Fabrizio non sopportava Riccardo e ciò  era reciproco.
Li divisero per sempre le loro contrapposte origini.
Il principesco Riccardo umiliava l'emotività e la passionalità, perché le temeva fondamentalmente: forse ne era stato la vittima sacrificale prediletta.
L'umile Fabrizio esaltava la spontaneità e la veracità, sprezzando la freddezza nordica e l'alterigia controllata.
Fabrizio odiava poeti e filosofi, i quali invece erano molto amati da  Riccardo.
Qualche punto in comune poteva essere però rinvenuto in questo confronto: allorquando Riccardo accendeva la miccia per fare esplodere una delle sue battute sarcastiche e ciniche, che tradivano quanto di passionale v'era anche in lui, allora v'era da sbellicarsi dalle risa e, allora, anche Fabrizio accennava qualche sorriso. Invece, neanche una piega segnava Riccardo quando le qualità di Fabrizio affioravano in superficie. Se Riccardo avesse conosciuto le origini di Fabrizio forse lo avrebbe compreso maggiormente. Proprio Riccardo, che si batteva per il riscatto dei diseredati, dei reietti dalla società, proprio Riccardo avrebbe certamente aiutato Fabrizio. Lo avrebbe fatto, rimanendo tuttavia sul seggio principesco della sua dimora regale e conferendo a Fabrizio un ruolo non certamente nobile ma forse nobilitante.

 

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