romanzo di Ada Pirocolpo (1994)


"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"

ERACLITO, Frammento 52 (Diels)

09/08/11

Capitolo 2 - LA VARIOPINTA SCOZIA

Erano le otto e trenta quando la cena venne servita in casa di Ruben e, quella sera, le pareti rosate della sala da pranzo ospitarono molti commensali: infatti s'erano presentati anche i conti di Monticelli. Tanti erano gli invitati ma questo non fece sorgere dubbio alcuno a Silvestro sull'eventualità di declinare l'autoinvito.
Macché! Silvestro  prese posto e si fece servire da gran re.
Osò anche aggiungere:
"Questa sera mi avete colmato di piacere accogliendomi al vostro tavolo! Per sdebitarmi, ho pensato di invitare il vostro figliuolo Ruben a tenermi compagnia per questa notte, giacché altrimenti sarei solo in casa. Sareste d'accordo?"
Allorché i genitori di Ruben gradirono lo sfoggio di gentilezza più di Ruben stesso, che nuovamente in quella giornata si vide costretto a forzare mandibole e mascelle, a contrarre le guance per strizzare un'espressione di finta spontaneità e di giuliva accettazione.
Erano ormai le ore undici, quando la cena e la conversazione terminarono. Ruben credette di rivedere la situazione del primo pomeriggio ma ora a pontificare era stato  proprio il gioviale, il forte, il ricco, il "bellantonio", il "dongiovanni", lui, Silvestro!
Sì, questi subito carpì l'interesse dei conti di Monticelli e con loro non disdegnò di ricamare orpelli di parole che alternavano, esaltandolo, il suo tono baritonale a quello fosco del conte e a quello velato della contessa.
Silvestro ebbe la felice idea di togliere il disturbo; con lui Ruben s'incamminò ed ebbe a ricordargli di doversi svegliare di buon'ora l'indomani, per onorare un impegno irrinunciabile con la signorina Scozia. Silvestro disse di non preoccuparsi a Ruben che, chissà perché, ci credette senza esitazione. Infatti, arrivati in casa, Silvestro cominciò a prendere due bottiglie di Chianti  e disse:




"Dobbiamo fare una gara: chissà chi fra noi due riesce a finirla per primo".
Quel "dobbiamo" sembrava un imperativo categorico rivelativo di una concezione morale molto bassa:
Silvestro era, in realtà, schiavo delle sue voglie primigenie e del suo istinto primordiale. Era forse questo a renderlo tenero agli occhi di Ruben e  - accidentalmente, ma con una punta di maliziosa partecipazione e tacita accettazione di Ruben stesso -  anche un po' simpatico.  Questi, tuttavia, non si sentiva mai a suo agio in compagnia di Silvestro; Ruben accettò la sfida, che ovviamente fu vinta da Silvestro. Comunque entrambi bevvero una bottiglia di Chianti di cinque annate precedenti quella sera. Silvestro cominciò a ridere, schiamazzando secondo la sua natura. Ruben, che riuscì a reggere la sbornia, rise molto, parlando e cercando di contenere anche l'ebbrezza in cui versava Silvestro. Questi  cominciò a strapparsi gli abiti di dosso e a gettarli nella stanza dimostrando di non riuscire ad andare a dormire senza l'aiuto di qualcuno, che fortunatamente c'era: Ruben aiutò l'amico a raggiungere il letto e non si sentì di abbandonarlo se non fino a quando si accorse del cessato pericolo per l'incombere del sonno. Entrambi si addormentarono, sotto la protezione di Dioniso.

Il giorno dopo, di buon'ora, Ruben era distrutto ma dovette recarsi all'appuntamento con Scozia. Vi arrivò in ritardo e questo provocò qualche scintilla variamente colorata. Ruben seppe tuttavia farsi perdonare con la sua amabilità naturale.
Ruben e Scozia trascorsero la mattinata al Giardino di Boboli.
Era una domenica serena, Ruben provò anche ad abbracciare Scozia, ma quando ciò avvenne s'accorse di avere esagerato e subito ritrasse l'insicura mano sotto la periferica e sottile vista di colei che, scaltra ed esperta in corteggiamenti, non si scompose minimamente.
La mattinata volò e giunse l'ora meridiana.
Dal campanile di Giotto echeggiarono nel cuore di Firenze rintocchi sordi e bronzei.
Scozia e Ruben si lasciarono sotto la casa di lei in via de' Tornabuoni. Ruben, in ritardo di mezz'ora, corse come una saetta verso via de' Calzaiuoli a casa sua. Salì e bussò alla porta aspettandosi una severa reprensione del padre, alla quale era certo che nulla e nessuno l'avrebbero sottratto. Non si può dire che la capacità di prevedere le situazioni non fosse proprio un'abilità di Ruben; ma certamente egli si lasciava spesso sfuggire  - o meglio, la sua memoria selezionava troppo, rimuovendo - i particolari meno graditi, proprio come quello che lo stava per attendere di lì a poco.
Ad aprirgli la porta di casa, invece del maggiordomo, invece del padre, invece della madre, invece di uno dei suoi fratelli, arrivò il suo amico Sivestro.
Questa volta, tuttavia, non era come si può pensare: stavolta l'invito era partito dalla madre di Ruben, inteneritasi anch'ella, per il fatto che Silvestro altrimenti avrebbe trascorso da solo la giornata di festa.
Ruben sedette a tavola, dopo avere ricevuto - sì - una reprimenda per il ritardo ma da parte di Silvestro, il quale nell'aprirgli la porta, gli aveva rimproverato di essersi trattenuto oltremodo. Ruben sfuggì ad altre paternali, almeno in quel frangente.
Nel pomeriggio Ruben fu chiamato dall'amico Blue Bill: era raro che questi lo chiamasse, preferiva esser chiamato. In realtà, non si trattava di una stranezza, visto che spesso la domenica alle tre del pomeriggio Ruben e Blue Bill solevano uscire per passeggiare in carrozza o a piedi, o per disegnare. Non sembrava vero a Ruben di potersi liberare di Silvestro così facilmente e, infatti, ciò non accadde proprio. Silvestro non ebbe la sfacciataggine di autoinvitarsi anche a questo sacro convito ma trovò comunque la maniera di parteciparvi: Silvestro doveva conoscere ogni cosa, doveva presenziare in ogni ambiente e, soprattutto, doveva dominare ogni palcoscenico del teatro dell'umana commedia, del proscenio della vita e doveva scrivere ogni riga del romanzo della storia.
"Venite da me, a farmi compagnia, dopo la vostra passeggiata!" - disse Silvestro a Ruben, che rispose:
"Se è d'accordo Blue Bill, verremo", pensando comunque che ciò non sarebbe stato possibile poiché Blue Bill non aveva mai sopportato troppo la compagnia di Silvestro.
"Vieni da solo, allora" aggiunse prontamente Silvestro;
"Vedremo, non te lo prometto".
Ruben era sicuro di non andarci proprio.
Quando alla fine della passeggiata, Ruben chiese a Blue Bill, per scrupolo, se avesse voluto accompagnarlo a far visita a Silvestro, ricevette una risposta purtroppo affermativa, sorprendentemente. Con aria triste, Ruben chiese a Blue Bill: "Ma perché? Non ti era poco congeniale la sua compagnia?".
"Sì, ma nella vita occorre cambiare; la monotonia uccide la genialità dei poeti e appiattisce la propria immaginazione produttiva tanto da renderla sterile. Andiamo verso nuove forme, amico mio! Suvvia, rechiamoci dal dio delle selve per ascoltare il suono del suo flauto e infondere il timor panico alla finitudine!".



Ruben rimase sbigottito; solo ora vedeva la coerenza di quello che si proiettava davanti ai suoi begli occhi. Era però tardi. E già giunsero da Silvestro che, sicuro del loro arrivo, già aveva predisposto tre divani - uno per persona - attorno a un tavolo settecentesco pieno di gelato. A pontificare fu sempre Silvestro. A disegnare fu Blue Bill, che ritrasse il gelato che si scioglieva nei suoi svariati colori: dal bianco al color crema,  dall'arancio al rosa, sino al marron e al verde. A non poter mangiare  fu Ruben, per evitare problemi depressivi a Blue Bill che stava dipingendo proprio il gelato. Tuttavia Ruben ebbe la felice idea, stavolta sì, di abbandonare in anticipo il ritrovo, giustificato dalla presenza di Blue Bill.


Ebbe così inizio una settimana in cui Ruben tenne frequenti contatti con Scozia. I due si videro ogni giorno, con regolarità per tre ore nel pomeriggio,  parlando intensamente. Un giorno, però, all'appuntamento giunse inaspettatamente anche Gelsomina, soprannominata 'la grigia'. Tra Scozia e Gelsomina nacque un dissidio, che presto fu destinato a divenire insanabile. Entrambe - era evidente - si contendevano Ruben a colpi di acuti isterici. Quel giorno, Ruben si divertì molto nel vederle litigare per lui, anche se tale svago avveniva nel sottobosco e non affiorava in superficie. Un altro giorno, alla riunione del Circolo, la signorina Aminta propose il tema dell'innamoramento e della conquista amorosa. A Ruben non pareva vero. Egli era pienamente coinvolto e assorto. Invece Scozia divenne involontariamente rossa in viso. Era presente anche Gelsomina che continuava  a tempestare di domande il prezioso castone di quel dorato momento. Ruben perciò era  imbarazzato e infastidito da Gelsomina. Scozia avrebbe voluto sparire e rendersi invisibile come se  avesse nuovamente rinvenuto il mitologico anello di Gige. Le lezioni della signorina Aminta, molto sommarie e poco interessanti,  servirono a Ruben soltanto per fruire di quel poco coraggio accumulato in tanti incontri e decidere finalmente di dichiarare il suo amore a Scozia.

Non si vedeva in circolazione da molti anni il veneto Carlino, da tutti conosciuto col nome di 'Messer Arlecchino'. Egli abitava in via Calimala. Un bel dì, con la sorpresa di tutti, venne a prendere gli amici all'uscita del Circolo.  'Arlecchino' era di facile socievolezza, fin troppo facile. Quel bel giorno, però, ciò che maggiormente turbò Ruben fu l'approccio non poco confidenziale che Carlino ebbe nel relazionare con la signorina Scozia. Neanche fossero stati amanti... A scuotere la sensibilità di Ruben fu la sua certezza nell'intuire che i due - Scozia e Arlecchino - si sarebbero rivisti sempre con più assiduità.

Una settimana dopo, nella chiesa della Badia Fiorentina, in piazza San Firenze, Ruben si sedette in modo tale da poter ammirare la dolcezza, più vagheggiata che reale, di Scozia. Nella traiettoria visiva si interpose invece lei... ancora lei: Gelsomina. Altro che donna dello schermo, tutt'altro! Che paradosso: da Dante ricercata, da Ruben disdegnata.
Oltre la 'donna dello schermo', il grottesco doveva ancora comparire:
arrivò 'Messer Arlecchino', che - non si sa come facesse - riusciva sempre a presenziare nelle occasioni ufficiali, senza partecipare mai ai preparativi; arrivava soltanto quando i giochi erano già stati fatti e preparati dagli altri per parteciparvi e prendersi il premio; egli compariva quando nessuno ne prevedeva la comparsa. Nessuno, tranne Scozia, forse...

Di fatto, sorse anche il sole del giorno in cui, con tutto il suo coraggio, Ruben chiese un appuntamento a Scozia.
Scozia volle incontrare Ruben vicino al Giardino Botanico. I due giovani si videro. Dopo qualche preambolo, Ruben disse dolcemente: "Signorina Scozia, io vi amo e vorrei che voi diventaste con me una cosa sola". Scozia divenne rossa e chiese del tempo per pensarci. Ruben, ansioso, ormai certo di aver esagerato, ne concesse anche più di quanto Scozia voleva.

L'indomani Scozia chiamò Ruben.
I due si videro. Scozia gli disse: "Vedete, voi mi piacete molto ma siete troppo giovane, cercate di capirmi!".
Ruben accettò senza troppa emozione questo esito.
Da allora, senza batter ciglio, non tornò più sul discorso con Scozia.
Nonostante ciò Ruben continuò con lei a intrattenere cordiali rapporti di buona amicizia. Indimenticabile fu il loro viaggio a Roma e soprattutto la visita al Giardino di Bomarzo, con la signorina Aminta e la solita presenza di Gelsomina.
Lì Arlecchino stranamente non si presentò.

Fu proprio in quell'anno che Ruben abbandonò l'idea di divenire pittore.
Si rassegnò e non fece nulla per realizzare quel suo sogno: i suoi amori coincidevano già con i colori.
Perciò, dopo la prima grande delusione d'amore, Ruben raggelò ogni suo entusiasmo e continuò a colorare nella fantasia e nel sogno. Affetti e colori si fusero sempre più... sempre più...



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