romanzo di Ada Pirocolpo (1994)


"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"

ERACLITO, Frammento 52 (Diels)

15/08/11

Capitolo 9 - NEREO, IL PITTORE

Giunse anche l'alba del giorno dell'inaugurazione ufficiale dell'Ateneo di pittura (e scultura), la cui sede fu ottenuta in affitto dal comitato di gestione presso alcuni locali del Bargello. Affluirono, tramite concorso, sessanta giovani già selezionati che iniziarono a mostrare il proprio talento. Ciò fu motivo di un'ulteriore selezione: tra i più meritevoli ne furono richiamati soltanto cinque che, possedendo già il  titolo di magistero, poterono essere nominati professori. A loro Ruben, Thomas e Sebastiano decisero di affiancare due professori e artisti già affermati, uno dei quali assunse tramite votazione del consiglio direttivo presieduto da Ruben l'incarico di Rettore. Questi, artisticamente molto dotato e tecnicamente esperto, si chiamava Nereo.

Ruben conobbe così Nereo, ma era come se lo avesse conosciuto da molto tempo. Infatti Nereo, di otto anni più giovane di Ruben, aveva seguito a distanza la sua carriera. Anche Nereo, come tanti altri, considerò nella prima parte della sua vita Ruben come un faro che illuminava l'oscurità nella quale egli soleva camminare. Soprattutto, Nereo ebbe ad apprezzare il vecchio impegno politico di Ruben: 

la sua svolta a sinistra, prima, e il suo impegno sociale per gli oppressi,  per i piccoli, poi; quanta gente non avrebbe potuto altrimenti raggiungere una posizione senza un aiuto concreto. Nereo aveva presto abbracciato l'ideale comunista: questa fu per lui una tradizione di famiglia, un'eredità, gelosamente custodita e tenacemente difesa. Nereo aveva considerato Ruben, come anche fu per Eros e Sebastiano,  un guru. Nei loro primi incontri, Nereo chiamava Ruben col titolo di maestro. Successivamente, Nereo entrò in confidenza con Ruben; andò talora a seguire le sue lezioni  su Nietzsche: Nereo era affascinato dalla possibilità operativa del pensiero umano e dalla sua storia. 


Gli interessi di Nereo erano ampi e multiformi, non si fermavano alla sola pittura. Questo però era il trono, o lo scanno, dal quale Nereo dominava sugli altri campi del linguaggio. Nereo comprendeva la realtà solo con l'intuizione, che è la più elevata e diretta tra le forme della conoscenza: è un'arte che percepisce l'arte. Egli capì presto che la pittura non è che un modulo espressivo di un universale messaggio. Due autori ancora appassionarono Nereo: Schleiermacher e Dilthey. Mentre l'interesse pittorico di Nereo verteva sul simbolismo, composto da una malinconia sempre affiorante. V'era un altro lato del suo carattere che emergeva negli incontri con ogni persona: Nereo dimostrava forti difficoltà nella socializzazione, che superava soltanto grazie al suo talento; egli non riuscì a costruire relazioni umane, perché viveva bene soltanto con se stesso. Arrivò persino a rinunciare ai contatti umani, rifiutandoli perché  lo mettevano in seria difficoltà. La cattiveria, l'arrivismo, l'ambizione sfrenata degli altri uomini produssero in lui un disgusto crescente. Le fatiche che egli  doveva fare per accettare se stesso erano già improbe che, presto, ne rifiutò altre che non lo riguardassero così da vicino. Per due anni egli non aveva avuto alcun contatto umano, ed era riuscito in quel tempo a produrre molte opere raggiungendo grandi e apprezzabili riconoscimenti.
Arrivò anche a pensare che se avesse frequentato altre persone non sarebbe mai arrivato al successo.
Nereo accettò l'incarico che Ruben gli diede soltanto perché si trattava di un onore, di un posto prestigioso e, comunque,  questo ruolo gli risparmiava la parte più umana delle relazioni, ponendolo sopra ogni membro della scuola, a capo di tutti, come rettore. Con ciò non bisogna tuttavia pensare che Nereo non fosse esperto in relazioni umane. Proprio queste infatti lo avevano ridotto così; Nereo aveva anche troppi presumibili amici, che rivelarono ben presto un interesse non per la sua  persona ma per strumentalizzarne le doti. Ciò che provocava tal comune atteggiamento in chi frequentava Nereo era però causato dallo stesso Nereo che era orgoglioso e vanesio. Egli superava le sue depressioni parlando e autoconvincendosi di avere ragione con discorsi fatti agli altri, ma che non avevano bisogno  di interlocutori fuorché di lui medesimo. Egli, con quelle parole gettate all'infinito, srotolava velocemente il tappeto della sua fragilità. Le tante, e troppe, parole che versava ovunque copiosamente lo resero più capace di produrre arte, ma ciò acuiva la sua odiosa presunzione agli occhi degli altri. Gli altri erano da lui cercati solo perché lo celebrassero come sommo Maestro; egli, invece, quasi odiava chiunque non volesse riconoscerlo come tale: proprio questo rifiuto Nereo proiettò su di loro come un boomerang lanciato da chi, subito, corre poi a isolarsi nella torre d'avorio del suo studiolo. Qui appesa a una parete v'era una copia dell'opera di Brueghel intitolata Il Misantropo. La fisionomia di Nereo era sorniona come gli sguardi dei personaggi presenti nella Salita al Calvario dello stesso Brueghel il Vecchio.


La convinzione di Nereo era questa: Brueghel stesso in persona era presente in lui,  che si riteneva solo un suo sacerdote laico, un medium; e ne abbracciava internamente i feriti sentimenti, fornendogli un ricettacolo capace di cogliere le sue rappresentazioni mentali per plasmarle in opere d'arte dallo stile popolano, ribelle e ironico. Nereo guardava gli altri attraverso le sue piccole e colorate lenti che sembravano cinquecentesche.
Egli era però infelice e malinconico.
Ebbe ragione Ruben ad affidare un incarico così arduo a un uomo con un così brutto carattere? Nereo si sentiva finalmente in grado di assurgere così a vette finora da lui non raggiunte,  e poteva certamente entrare in grotte meravigliose che non aveva ancora esplorato. Per l'Ateneo era un bene la scelta di Nereo come rettore? Forse Ruben si lasciò condizionare dalla situazione precaria di Nereo e da quell'amicizia che sussisteva troppo facilmente tra loro; Nereo, infatti, vedeva in Ruben la possibilità di confrontarsi e di sfogarsi. Perché Ruben non gli contestava le idee come invece facevano in  coro gli altri. Ruben non interpretava, né osteggiava la visione del mondo di Nereo. Dal canto suo, Nereo avrebbe voluto dire a se stesso qualcosa e, non potendolo fare, delegava Ruben a svolgere tale compito, perché questi padroneggiava le parole con più maestria e utilizzava quelle  opportune e adeguate. Nereo sembrava voler bene a Ruben, perché il vederlo gli provocava una serenità che colorava di luce quei fiamminghi paesaggi dagli oscuri umori. Come d'incanto, Ruben riusciva a trasformare la Tempesta, che Brueghel continuava a pittare nell'animo di Nereo, nel dipinto I Giochi dei Bambini, pieno di colori, di divertimento, di trasgressione e di vita.

I contrasti erano la prerogativa essenziale di Nereo, che si divertiva trascorrendo da uno scherzo carnascialesco a una penitenza quaresimale. Blasfemo per vocazione, come Brueghel stesso, Nereo sentiva in cuor suo  una chiamata mistica,  e in alcuni momenti non era per lui necessario neanche parlare, né ascoltare o guardare, neppure dipingere... perché la divinità stessa si impossessava di lui, di ogni anfratto più misterioso della sua immaginazione produttiva. In quei rapimenti dell'animo Nereo per giorni si ritirava in silenzio; spesso si recava a Santa Croce. Un rito si ripeteva sempre, dopo ogni sua crisi mistica: egli fissava il proliferare della mastodontica possibilità espressiva e rappresentativa dell'umana progenie nel ricettacolo della sua fervida mente; poi si ritirava nel convento francescano di Fiesole, ove veniva accolto con molta ospitalità e viveva giorni di silenzio. Tornato nel suo studiolo, iniziava una nuova creazione artistica, che per lui era la rappresentazione fenomenica della sua stessa preghiera. Così Nereo ringraziava quel Dio che egli sapeva amare così, rispondendogli con la più bella delle sue offerte: la pittura. Grandi uomini e artisti lo avevano nei secoli preceduto nella sua Firenze, ma Nereo non si riconosceva in nessuno di loro. Egli si considerava libero e cercava Dio da solo, senza la mediazione di una comunità umana: la sua era una vocazione eremitica. 


Per Nereo l'Ateneo divenne presto una torre di Babele. Dopo due anni, egli non ne poté più e lasciò quel posto, con qualche ombra verso Ruben col quale continuò un'amicizia meno trasparente diminuendo la frequentazione. La vita sentimentale di Nereo era fondata sul solo scuro e triste amor di sé; forse neanche questo  si può affermare con certezza: Nereo non amava a sufficienza neanche se stesso, confondeva l'amore con l'invidia dell'altrui felicità, che diluiva - quando ci riusciva -  in un atteggiamento di tranquillità godereccia di rivalsa.
Nereo irrideva ogni istituzione e soprattutto guardava con sospetto al matrimonio: le esperienze con le donne furono tanto intense quanto fugaci e insignificanti per il pittore. Nereo cercava solo il piacere dei sensi e neanche guardava l'amante di turno; a occhi chiusi egli amava una donna dipingendola, nella sua fantasia, più bella e leggiadra di ciò ch'ella non fosse. Le cerimonie ufficiali erano bandite dalla natura intimistica di Nereo: egli cercava qualcosa di meglio, odiava ogni cosa o persona lo avessero escluso e ferito. 

Il Pranzo di Nozze di Brueghel era il suo quadro preferito: ne teneva nascosta una riproduzione in un posto in cui da solo egli poteva indisturbato contemplarlo. Il matrimonio tanto vituperato da lui, a parole, era un suo segreto dolore che non rivelò mai a nessuno: Nereo si era sposato giovanissimo di nascosto con una donna che lo lasciò prestissimo, dopo alcune settimane. Fino ad allora Nereo aveva considerato come l'apice della sua esistenza il legame matrimoniale, fraintendendone il senso. La novella moglie capì tardi chi era Nereo e lo abbandonò per sposare un altro uomo. Ruben cominciò a distaccarsi da Nereo, del quale non aveva mai condiviso appieno la selvatica concezione dell'esistenza, ma del quale aveva apprezzato l'arte prodotta dalla sua ingenuità così resistente a ogni tentativo di addomesticamento. Ruben volle aiutare, comunque, il pittore e gli affidò di lavorare in privato per l'Ateneo d'arte: in questo modo, fruttificò la relazione di lavoro con Ruben, ma non quella di amicizia. Nereo era così riuscito a liberarsi degli altri direttori dell'Ateneo: con Sebastiano, Nereo s'era infatti spesso scontrato per ovvi motivi; Thomas non sopportava  Nereo per la sua riottosa abulia che reputava irrecuperabile. 
La scuola produsse cinque nuovi artisti che si affermarono nel territorio regionale.

Un giorno, sotto Palazzo Vecchio, Nereo incontrò Carlino, detto Arlecchino. Con lui, infatti, v'era stata un'interessata amicizia voluta certamente da Carlino. Egli presentò la sua sposa, la signorina Scozia, a Nereo; al momento del congedo, Nereo, senza dir nulla, si voltò e se ne andò. Quella scortesia fece piangere Scozia, e Carlino ne fu amareggiato. Così Carlino cominciò a intessere una campagna denigratoria nei confronti di Nereo volta a fargli perdere il posto di collaboratore all'Ateneo d'arte. Carlino chiese perciò un appuntamento con la direzione dell'Ateneo portando con sé Scozia. Carlino era ormai un arricchito e opportunista piccolo uomo d'affari, con una certa influenza in città, sia pure minore di quella esercitata da Thomas e Ruben.  Carlino era sempre stato un invidioso denigratore di Ruben al punto che, anche se aveva avuto da qualcuno la notizia della presenza di Ruben in quella scuola di pittura, non aveva mai voluto crederci. Quando Scozia e Carlino si trovarono davanti  Ruben,  come due camaleonti cambiarono tinta e non seppero più sfoderare la grinta di cui s'erano gonfiati preparandosi all'incontro. Ruben fu lieto di dover così comunicar loro di togliere il disturbo subito, per evitare uno spiacevole sviluppo degli eventi. Fu una gradita sorpresa per Ruben, questa,  che la Fortuna gli concesse.

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