romanzo di Ada Pirocolpo (1994)


"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"

ERACLITO, Frammento 52 (Diels)

14/08/11

Capitolo 8 - AZZURRO ALL'ORIZZONTE: SEBASTIANO

Thomas non vedeva l'ora di conoscere Blue Bill: lo incuriosiva e quasi lo affascinava anche se ne aveva solo sentito parlare da Ruben. L'imprevedibile Billy era stato fondamentalmente il primo  compagno di giochi di Ruben, rimuovendo Silvestro.

Thomas e Ruben programmarono perciò un viaggio per andare a Bologna. Seppero, infatti, da alcune certe fonti indirette, che la famiglia di Billy s'era trasferita da moltissimi anni in quella città, ma non arrivarono ad altre informazioni; sembrava difficilissimo capire dove si trovava Billy. Divenne un rompicapo, che appassionò Thomas e Ruben. Ancora una volta Billy sembrava aver fatto di tutto  perché altri parlassero di lui e lo ponessero al centro dell'attenzione.

I nostri due viaggiatori arrivarono a Bologna e l'emozione  nel guardare la città li conquistò: Bologna, la grassa, la dotta, sembrava la dimora ideale per loro, i nostri due dottori. Sul sagrato di San Petronio, Ruben e Thomas diedero a un povero i loro i due panini imbottiti che Marella aveva preparato per loro, e andarono a mangiare in una trattoria bolognese. Si diressero quindi verso la Torre Garisenda e verso quella degli Asinelli; andarono  in una taverna e chiesero informazioni sugli abitanti del luogo. Fu difficile la ricerca, per le poche indicazioni che avevano. Riuscirono, tessera per tessera, a ricostruire il mosaico della rotta verso la loro meta; s'aggirarono sotto i portici dipinti, contemplandoli pur frettolosamente,  ed elevando così i loro animi sitibondi di arte. Arrivati al palazzo che cercavano, poterono riconoscere l'abitazione di Billy. Aprì loro la porta una vecchia signora, dal volto rugoso e segnato, che pareva una miniatura in legno piena d'intarsi e ceselli di sapiente manifattura artigianale. Da lei Thomas e Ruben ebbero la triste notizia: Blue Bill era stato ricoverato in una casa di cura per malati mentali, perché da tempo era uscito di senno. Ruben vide così morire una grossa fetta della sua infanzia e della sua adolescenza in un istante. 

Eppure fece l'ultimo tentativo vano di rinfocolare quella fiammella quasi spenta per prolungarne la fievole luce, recandosi sulla collina di San Luca presso un'anonima casa di cura, quella indicata dalla vecchina, che era la governante della famiglia. Qui ancor peggiore fu l'approccio fra Ruben e Billy, che sedeva in un angolo di una stanza nuda, come lui. Egli continuava a fissare il paesaggio dalla finestra. Da lungo tempo Billy non proferiva parola e ormai non riconosceva neanche più i suoi familiari.









Il rientro a Firenze per Thomas e Ruben fu segnato da questa amara sequenza che Ruben non riusciva a togliersi dalla mente; Thomas propose allora a Ruben di andare a cena in uno dei loro ristoranti preferiti di Firenze fra via dei Pepi e via di Mezzo.


Il progetto al quale Ruben e Thomas stavano lavorando trovò ugualmente  realizzazione. In quei giorni, Ruben era continuamente cercato da un giovane, che era stato accolto nella comunità di recupero. Questi aveva riconosciuto proprio in Ruben, un tempo, il suo modello di educatore, la sua guida, senza che Ruben si fosse accorto di questo. Ecco sbocciare una nuova amicizia all'orizzonte.
Sebastiano, una quindicina di anni più giovane di Ruben, spesso cercava il suo amico ritenendolo quasi come un padre. Spesse volte il ragazzo convinceva Ruben a raggiungere, in sua compagnia, le vette alpine. Insieme, Sebastiano e Ruben scalarono molte cime: indimenticabile fu la conquista del Gran Paradiso. Essi raggiunsero i quattromila metri di quota. Ruben era rassicurato dalla compagnia di Sebastiano: egli era calmo e tranquillo nell'affrontare anche difficili imprese. Con il senso dell'opportunità  e la capacità di giudizio nel pianificare, l'affabile e franco Sebastiano sapeva ben persuadere; era la sua migliore abilità, che però adoperava per fini onesti. Sebastiano era un cattolico praticante; era un giovane brillante che ogni madre avrebbe voluto come figlio. Egli era il modello per ogni ragazzo, era un piccolo fiore azzurro che Ruben portava con fierezza al suo occhiello.

Fu Sebastiano ad affiancare Thomas e Ruben nell'elaborare il progetto dell'Ateneo d'arte. Sebastiano amava il ruolo di coordinamento di un'attività; divenne segretario dei due organizzatori. La compagnia di Sebastiano divenne ogni giorno più cara a Ruben. Sebastiano era quasi perfetto, era decisamente equilibrato; su nessun fronte poteva essergli ravvisato un insuccesso. Preciso, diplomatico, intelligente, capace di amicizia sincera, Sebastiano curava il suo legame con Ruben più  di quelli che pur stringeva con i suoi molti altri amici. E' incredibile a dirsi quanto erano numerosi i suoi amici. Non è facile definire da dove derivano questi legami: spontanee affinità elettive? Sì. Sono rapporti che si approfondiscono soltanto con l'esercizio attivo, ma che già sussistono naturalmente, in potenza. Per alcuni amici non è necessario incontrarsi con frequenza perché l'amicizia si eserciti e si attui. Essa già vive, a dispetto della sua formalizzazione e della sua sostanzializzazione, cose che talvolta sono addirittura inutili e  quasi superflue. Sebastiano riscaldava spesso i momenti di solitudine di Ruben e li colorava con la sua gaiezza azzurrina; confidava all'amico i suoi presentimenti, le sue certezze riguardanti anche i molti complotti orditi alle spalle di Ruben, che potevano anche minarne la carriera.
C'era, tuttavia, un punto interrogativo in Sebastiano al quale egli non riusciva a dare una risposta con decisione. Né voleva pensarci, pur non rifiutandosi di accennare a Ruben qualche risvolto di questo suo problema costituito essenzialmente dalle donne. Sebastiano viveva una difficoltà di relazione con l'altro sesso, nonostante le sue relazioni amichevoli annoverassero molte ragazze, alcune delle quali erano seriamente a lui interessate. Sebastiano con loro non riusciva ad andare oltre la semplice amicizia. Un greve rapporto molto intenso con la madre già lo aveva condizionato irrimediabilmente. Anche questo problema lo unì, suo malgrado, a Ruben. Quest'ultimo aveva però avuto un rapporto più vivo e vissuto con le donne, come sappiamo; tuttavia i rapporti di Ruben con le donne erano sempre precipitati nel profondo dei gorghi di un mulinello d'acqua. Eppure Sebastiano vedeva l'amico Ruben come un esempio anche nelle relazioni con le donne: almeno Ruben aveva già amato una donna, anzi tante donne.

Una sera, Thomas, Marella, Ruben e Sebastiano si trovarono a progettare una camminata in montagna per i ragazzi della Comunità di accoglienza e recupero. Fu Sebastiano a decidere il tragitto con l'assistenza di Thomas. Qui Thomas ebbe modo di apprezzare le qualità del giovane.  Ruben e Thomas avevano già parlato di Sebastiano, una sera in una hostaria, davanti a due buoni bicchieri di Pietra Nera di Montalcino. Ruben, nell'esaltare la preziosa opera svolta da Sebastiano, non aveva mai fatto cenno a Thomas dei sottofondi problematici personali del giovane, pur volendolo aiutare. Neanche Thomas in quel momento avrebbe potuto dare a riguardo un consiglio, nonostante avesse seguito a lungo, in passato, la formazione di Sebastano nella comunità. Diventava difficile armonizzare nella gita che avevano in programma, la presenza di Sebastiano con quella dei nuovi giovani in formazione della comunità. L'impatto con la sua ex comunità, adesso vissuta dal punto di vista del governo e della conduzione, si profilava difficile. Perché facili, invece, sarebbero emerse le identificazioni in un'esperienza non protetta qual è una camminata in alta montagna, con relativi pericoli, in compagnia di quei simpatici teppistelli da governare.

Il profumo caldo della pizza fatta in casa da Marella si espanse nella sala da pranzo. Qui sedevano Thomas, Sebastiano e Ruben e discutevano sul programma della fatidica camminata ormai prossima. Proprio quella sera Sebastiano sentì, come non era mai avvenuto prima, che quei suoi amici erano la sua unica vera famiglia.  A lui erano cari come nessun altro di cui poteva ricordarsi. La sua reale famiglia, infatti, non esisteva più. Sebastiano, d'umile origine, era nato da una relazione di due amanti che si sposarono successivamente; i suoi genitori erano soli al mondo, scappati da grandi disperazioni, e quel destino avrebbe poi abbracciato, con terribili  spire, Sebastiano stesso. I genitori di Sebastiano,  nella sua infanzia, l'avevano coperto di caldissimo affetto. Morirono, ancor giovani, in un grave incidente e da quel trauma il ragazzo non s'era più ripreso:  un sordo e bruciante dolore da lui era nascosto con cura, una ferita non più rimarginabile tagliava la sua memoria. L'impietoso contrasto tra la presenza eccessiva e l'assenza improvvisa di affetto familiare sconvolse Sebastiano che, in quel polare vuoto di riferimenti, continuò a cercar protezione ora da dare, ora da ricevere. La comunità venne a costituire nella vita di Sebastiano il senso della sua stessa esistenza ritrovata; aveva  riportato il rubizzo fiammeggiare d'un falò che scalda di tepore una compagnia di amici riuniti in cerchio cantando sul sottofondo  di chitarre. Un rosso fuoco si riaccese nel nero seppioso d'una glaciale notte in alta quota: proprio così calda fu per Sebastiano la comunità di recupero. Tutto questo calore, nel tempo, riportò un luminoso sorriso che non scomparve quasi più, da allora, sul volto tenero e rasserenante di Sebastiano.

Era tuttavia giunto il momento in cui, ora proprio a Sebastiano, veniva chiesto di accendere nei nuovi ragazzi accolti dalla comunità la fiducia nella vita.

La camminata fu più dura del previsto a causa delle condizioni del tempo.
La meta era la cima del Gran Tournalin in Valle d'Aosta.  Il viaggio si dipanò in sette giorni. due giorni ci vollero per raggiungere la regione, ove il nostro gruppo trovò ospitalità nell'accampamento di un'altra comunità composta da volontari che lavoravano per la costruzione di un centro per malati. Qui soggiornarono i nostri quindici viaggiatori:
il rissoso e irascibile Renzo che, in preda a una delle sue crisi causate da carenze affettive,  negli anni passati aveva già distrutto a sassate tutti i vetri della casa della comunità; il piccolo Nicola, doppio e ambiguo, che sfoderava un'aggressività violenta per  far capire a tutti quanto valesse, per vincere il complesso che gli deriva dalla sua bassa statura fisica e dalla sua giovane età; Milly, la maschiaccia, dalle volgari e rudi espressioni che facevano a pugni con la dolcezza dei suoi tratti; Samuele, di famiglia ebraica, un ragazzo intelligente traviato dai suoi amici che compromisero la sua fragile volontà:  aveva anche già  tentato il suicidio; Attila, vispo e vivace ragazzino effeminato e perciò sempre schernito già in famiglia, il quale sentiva il bisogno di riscattare la sua mancanza di virilità ostentando un finto e marcato protagonismo e, così, si faceva vedere forte e violento nel suo paradossale gracile e rachitico corpicino... anch'egli aveva preso parte al lancio di sassate sui vetri della casa comunitaria: non avrebbe potuto farne a meno Attila che, inoltre, seguiva sempre Renzo, il quale  spesso lo picchiava senza tuttavia farlo sanguinare; infine Ron, il bello del gruppo, anche se un po' troppo ingrassato: con Samuele, una sera, si azzuffò alle Cascine poiché il compagno aveva deriso le sue tanto paventate prestazioni sessuali premature con le puttane che circondavano il parco nelle ore più solitarie. Ron non sopportò quelle basse insinuazioni proprio perché le sue difficoltà nell'approccio sessuale con una donna erano reali: Ron e Samuele si pestarono a sangue. Samuele si ritrovò un taglio profondo al braccio e Ron uno sfregio sul volto. Quella volta gli assistenti, con Ruben e Thomas, dovettero correre per accompagnare all'ospedale di Careggi i ragazzi.
Proprio Ron costituiva un pericolo incombente nel rapporto con Sebastiano: Ruben controllava attentamente i loro incontri e gli scontri fatti anche di soli sguardi feroci.
Con i ragazzi v'erano anche degli assistenti: i quattro dipendenti della comunità, due volontari e due stipendiati, tutti laureati in medicina o in sociologia. Marella, Thomas, Sebastiano e Ruben, insieme al resto del gruppo, costituivano la granda cordata. Ruben pensò di portare con sé,  per la sua esperienza di analista, anche Eros che accettò subito con la sua nota grande disponibilità solo dopo aver svolto una seria preparazione all'evento, vissuta all'interno della comunità nelle tre settimane precedenti la gita.

Il gruppo arrivò al luogo della scalata.
Subito si verificarono piccole risse con i ragazzi appartenenti agli altri gruppi, e con altri della comunità valdostana. Tuttavia non erano ancora emersi i grossi problemi...
La prima notte fu insonne per gli animatori per l'insorgere violento nei ragazzi di un represso desiderio di libertà, che caratterizza anche gli adolescenti senza problemi di adattamento.
Il giorno seguente, ecco profilarsi all'orizzonte un primo diverbio serio tra Ron e Sebastiano:
"Ma tu nn te la se' mai fatta una pollastra" disse Ron.
"Bischero" rispose senza intenzioni offensive Sebastiano. Ciò bastò a far tuttavia replicare Ron.
"Bischero a me tu non lo dici più. Tu l'ha' 'apito?". Fu Ruben a intervenire per porre fine alla questione. Ormai si avvicinò il tempo della partenza che non coinvolse l'attenzione dei ragazzi, un po' ignari della difficoltà del percorso, e perciò non spaventati; essi sfoggiavano sicurezza soltanto perché non  riuscivano a mostrare la loro fragilità, perché ciò sarebbe stato per loro troppo umiliante e insopportabile. La loro natura era fatta di dolorosa insicurezza.

Cominciò la camminata.
In testa v'era sempre Sebastiano e ciò rinfocolava il naturale spirito di competizione in Attila, che però rimaneva sempre l'ultimo della fila anche dietro Milly che lo guardava sorridendo  apostrofandolo con raffinata eleganza: "Stronzo! Sta' dietro! Che vuo' tu ffare?". Ruben e Thomas si trovavano a metà cordata per seguire i ragazzi; in coda rimase Marella con i volontari e l'attrezzatura medica. La salita era ripidissima e, sotto il sole, i quindici scalatori senbrarono ben presto sciogliersi. L'aroma salato dei loro sudati corpi incrinati dalla fatica si mescolò, non troppo tardi, a quello della vegetazione selvatica e dell'erba sempre più crespa, non appena si raggiunsero duemila metri di quota. Anche gli insetti, lassù più coriacei, insidiarono i ragazzi che già si erano lamentati più volte per la fatica. Esausti, essi volevano tornare  indietro. Questa esperienza, secondo gli educatori, stava cominciando a dare dei frutti, ma dopo quattro ore di sudato ed estenuante cammino, si presentarono più grandi difficoltà. Il sentiero, mal segnato, non fu più visibile e per un lungo tratto i nostri dovettero quasi arrampicarsi sulle rocce. Fu lì che Attila cominciò a piangere come un vitello, ma soltanto dopo aver visto che anche Ron e Renzo lo stavano facendo. Il passaggio benché duro e impervio fu tuttavia superato. I ragazzi si calmarono, eccetto Nicola che cominciò a tirare pietre giù nel vuoto: lo strapiombo era vertiginoso. Allora Sebastiano, preso da un moto incontrollabile, si avventò contro Nicola e gli diede uno schiaffo. Nicola pianse, ormai incurante di sfigurare poiché non fu il primo a farlo, confortato anche dal fatto che a piangere erano i ragazzi più grandi di lui. Ecco, però, sopraggiungere velocemente, guidato da una forza mal controllata, Ron che si buttò su Sebastiano minacciando di farlo precipitare di sotto se egli non avesse subito chiesto scusa a Nicola. Intervennero Thomas ed Eros, che trattennero Ron, mentre Ruben prese Nicola con sé.
Timori e baruffe scoppiarono sempre meno, quanto più aumentavano i pericoli naturali presenti nella aspra realtà geologica solcata dal nostro gruppo.
Arrivarono ai tremiladucento metri sul colle del Gran Tournalin. Qui si fermarono i ragazzi con Marella e gli assistenti. Gli altri proseguirono sulla vetta a tremilacinquecento metri. Nessuno dei ragazzi aveva mai visto prima quell'azzurro spettacolo. Sembrava di viaggiare nel paradiso, sopra le nuvole che, per la prima volta, i nostri - che non avevano mai preso un aereo - potevano guardare sotto di loro  dall'alto. Paesaggi impossibili da raccontare per loro, che ognuno vedeva in modo contorto e frastagliato, non avendo sviluppato le loro capacità di percezione gestaltica. Tutti rimasero estasiati e con indicibile e primitiva emozione, nelle pur tenere loro espressioni, sbocciarono affettuosità delicate quanto buffe; i ragazzi si avventuravano in tentativi di descrizione di ciò che vedevano e che credevano di comprendere bene. Presto, nonostante il sole rovente,  si resero conto di provare un gran freddo causato dall'altitudine.
Il ritorno si profilò più faticoso della salita. Milly pianse, dopo tre ore di cammino perché aveva male ai piedi, imprecando come era solita fare. Mancavano ancora due ore all'arrivo. Il tempo trascorse tra il  collettivo lamento e l'insorgere delle crisi a catena. Stavolta Ron accusò Sebastiano di aver causato le loro sofferenze: Sebastiano aveva scelto un tragitto non  adeguato alle loro forze. Forse qualcosa di vero c'era in questa osservazione, ma Ron non seppe contollare le sue reazioni ed esplose in una serie di insulti che furono davvero  insopportabili per Sebastiano. "Infame!" gli disse. Sebastiano si trattenne. Ron poi aggiunse: "Figlio di puttana!". Allora Sebastiano non riuscì più a controllarsi e, in preda al dolore e alla rabbia, si gettò su Ron e lo riempì di pugni piangendo. Ron, non abituato a perdere, ebbe la peggio e si dovette arrendere alla maggior forza di Sebastiano, più grande di lui. Sebastiano pianse ancor più per aver fatto del male a Ron. Nessuno degli altri ragazzi proferì parola, quasi a percepire una dimensione sconosciuta simile a quella di un clan primitivo che vede cadere in battaglia il proprio leader. L'aria era diventata tranquilla e silenziosa quasi come quella che grava  su una tomba silenziosa e solitaria tra il verde di un campo santo. Sebastiano prese, dopo la colluttazione, sulle sue robuste spalle il pesante e dolorante Ron: lo portò con sé fino all'arrivo. Qui tra loro cominciò un dialogo destinato a proseguire sino al rientro a Firenze.
Nel chiedere scusa a Ron, Sebastiano gli raccontò la sua triste storia e perché aveva reagito violentemente. Ron cominciò a spargere quei piccoli semi di rispetto e di affetto che  serbava nelle sue tasche, e che dai primi anni di vita aveva troppo presto imparato a trattenere nei suoi pugni, chiudendoli, per l'asperità dei terreni da lui battuti. Quei pugni appartenevano a mani che avevano saputo più lottare che stringerne altre, come quelle di un amato fratello. Ron sentiva che adesso si poteva, per la prima volta forse, fidare di qualcuno senza vergognarsi. Egli  per la prima volta volle confidarsi senza sospetto e inganno, proprio con Sebastiano.

Sebastiano e Ron erano molto simili per il loro triste vissuto.  Sebastiano era però riuscito a realizzarsi e, perciò,  Ron intravedeva una via d'uscita, un tunnel che conduceva oltre i suoi grandi problemi di adattamento che lo avevano indotto  a drogarsi. Ciò che forse accomunò, prima nell'odio e poi nell'amore, i due ragazzi - secondo Eros - fu la loro difficoltà di relazionare con una donna. Entrambi, fin quando non poterono conoscere altre donne, avevano avuto due madri eccessivamente apprensive, che presto erano venute a mancare. L'amore mancato, o troppo presto spezzato, genera spesso dei mostri. Il destino fu crudele in questi casi, senza colpe umane.

Con Ruben fu crudele, invece, quella donna che gli tolse l'affetto prima promessogli: quella donna, quella dama antica che è la pittura stessa, riconosciuta nei colori frastornanti di Scozia, finché Ruben non si sentì umiliare da lei e la rimosse. Vista come la segreta amante di Blue Bill, Ruben cercò inoltre di seguire 'Donna Pittura' anche lì, con un po' d'invidia, finché dovette constatare  come quella dama, lei, che per lui era la più nobile delle arti, poteva anche portare un uomo alla follia. Anche Van Gogh era impazzito, abbagliato dalla luce degli eventi riflessi sulle sue tele. 




























 Ruben era stato abbagliato da Fiammetta, attratto da lei come da un quadro famoso di Leonardo da Vinci. Questi era stato allevato da due donne - Caterina e Donna Albiera - ed ebbe quasi due madri che riversarono su di lui il loro amore, che presto venne a mancargli. L'amore mancato genera spesso dei mostri ma, non spesso, partorisce dei mostri di bravura come  fu per Leonardo.


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