Ciò che Nereo amava maggiormente era se stesso; perciò, donando qualcosa di suo a Ruben, egli pensava di fare il migliore dei doni e, quindi, nuovamente ancor più amava se stesso. Così Nereo donò alcune sue composizioni a Ruben. Quando Ruben sentiva parlare Nereo, a volte, si commuoveva perché riusciva a vedere i luoghi più impervi della sofferenza umana. Fu durante un'estasi di Nereo, se così la si può definire, che Ruben lo trovò, un giorno, in Santa Croce.
Nereo si trovava a suo agio mirando e rimirando l'abside centrale affrescato con le sue vetrate. Ruben era colto, invece, dalla sindrome di Stendhal. Si originò in questo incontro uno scambio nostalgico e ascetico che, da un lato, celebrava - in Nereo - la grandezza dell'uomo invaso dal genio creativo e, in ultima analisi, invaso da Dio stesso; dall'altro lato, celebrava - in Ruben - la piccolezza dell'uomo schiacciato dall'infinito, cioè sempre da Dio.
Per giorni e giorni Ruben ricercò il sapore della contemplazione: si recava ogni sera a Santa Croce sul far del vespro a cercare il grande protagonista del romanzo della sua esistenza; Se prima questo bisogno viveva inconsciamente in lui, spaventandolo e portandolo alla rimozione, ora Ruben si sentiva degno di appigliarsi a quel legame che lo teneva unito alle stesse radici dell'esistenza.
Ruben prese l'abitudine di frequentare San Miniato o Santa Croce quotidianamente; la domenica egli si recava in cattedrale per il canto solenne dei Vespri.
Una volta Ruben riuscì a portare con sé l'amico Sebastiano col quale riuscì sempre più a intendersi. Sebastiano seguì anche in questa svolta religiosa l'amico Ruben.
Era giunta la Quaresima, il cammino penitenziale che conduce alla Pasqua: una Pasqua particolare per Sebastiano e Ruben, che come invasi dal soffio amoroso dello Spirito Santo riconsiderarono le loro esistenze. Vedevano ogni evento con occhi e cuori nuovi.
I sette doni dello Spirito Santo corrispondevano ai sette colori dell'iride e costituivano il nuovo orizzonte d'azione per Ruben e Sebastiano. La loro amicizia e quella degli altri rifrangevano colori più brillanti. Essi erano entusiasti, cioè visitati da Dio, e si sentivano pronti a iniziare un nuovo disegno con le loro vite. Cristo divenne la luce che permetteva ora di osservare ogni tonalità affettiva.
Prima di questa trasformazione, i maestri che avevano insegnato i gradi cromatici dell'amore e della filantropia a Ruben erano stati i classici:
grandi dosi di latte spirituale Ruben trasse dal Laelius de amicitia di Cicerone: egli aveva sorseggiato i colori mistici dell'amicizia disinteressata;
anche Seneca aveva illuminato il cammino di Ruben: amare sé e amare gli altri era il duro compito dell'uomo per Ruben, come per Seneca;
del resto, già Aristotele ne aveva parlato nell'Etica a Nicomaco.
Tuttavia era sant'Agostino a nutrire ora la fame mistica di Ruben, fino alla maturazione in lui di quei valori sempre e solo intravisti fino a quel momento.
Ora l'amore incarnato da Eros lasciava il posto a quello insufflato dall'agape. Eros trovò presto una collocazione più adeguata nella vita di Ruben, non cessando mai di parteciparvi - disponibile com'era - a causa delle di lui origini: Eros era figlio di Poros e Penia.
Il valore dell'amicizia, per Ruben, era sempre stato carico di una sacralità quasi religiosa. Questa componente ascetica era stata mutuata pari pari da Quintiliano. Ruben, amante dei classici, sempre si era beato dei consigli sull'amicizia tratti dall'Institutio Oratoria.
Nell'ambiente scolastico iniziano i veri rapporti d'amicizia che durano lungo tutto il corso della vita di ognuno, secondo Quintiliano; anche se la frequenza degli incontri può affievolirsi, quelle amicizie che si stringono nel periodo scolastico condizionano tutta l'esistenza perché sono le più intense, le più pregne di fresco vissuto, di entusiasmo, di vera sacralità. Infatti sia Silvestro, sia Riccardo, sia Fabrizio determinarono tutta l'esitenza di Ruben colorandola di una piacevole volontà di condivisione, talvolta rigenerante talvolta elettrizzante, che addolcì le asperità del carattere di Ruben.
Le amicizie esclusive e particolari, come i virgiliani Eurialo e Niso, erano stati modelli irrinunciabili per Ruben che però aveva allargato il raggio luminoso che emanava dal suo cuore a tanti amici, con intensità variabile secondo quello che l'intuito gli suggeriva. Tutti insieme gli amici di Ruben tinteggiavano la sinopia dell'amicizia abbozzata per renderla una viva e colorata rete di legami protettivi.
La fantasia di Ruben era stata sollecitata anche da Ariosto nel narrare del totale altruismo e della condivisione eroica di Cloridano e Medoro.
Questi quadri erano tuttavia spesso tragici nell'epilogo e Ruben aveva un timore: viveva ogni amicizia come se dovesse finire da un momento all'altro, con apprensione, struggendosi malinconicamente.
La lettura di Hermann Hesse fu per Ruben una luce simile a quella dei candelabri accesi nel buio di Santa Croce; Narciso e Boccadoro costituirono due tappe fondamentali; il tiepido, luminoso e più intenso chiarore nelle fredde e oscure navate d'una bella chiesa rappresentarono nella coscienza di Ruben le costellazioni degli affetti stessi: i pianeti e le stelle lontane, luminose e chiare, dell'amicizia nel blu intenso della notte. Quella luce che tuttavia non arrivò a far comprendere ogni sfaccettatura dell'amore: come in una notte di luna piena senza altra fonte luminosa si può solo intravedere qualcuno, così tutti gli amici avevano fatto scorgere a Ruben la bellezza dell'amore stesso; una bellezza interna, suggestiva ma inafferrabile, che rimanda ad altro come fa il preludio di un bel poema musicale che ancora deve fiorire nella sua ricca compaginazione.
Il crepuscolo era per Ruben il momento del fiorire dell'amicizia e la notte fruttificava l'amore, come per i poeti romantici.
Ora, come d'incanto, la vita di Ruben s'illuminava a giorno. Era finita la notte.
Fu quello un attimo che lo proiettò indietro nel tempo, fino ai giorni trascorsi nel Giardino di Boboli col padre quando Ruben era piccolo: vedere quel cielo sereno, quei fiori e quelle piante era sempre stato emozionante per lui. Tornare poi a casa la domenica e sentire il profumo del ragout preparato dalla madre, che annunciava il pranzo; la chiarezza allora respirata, la serenità colta già nella prima passeggiata in carrozzina lungo le vie guardando le bancarelle colorate dei fruttivendoli... Tutto riaffiorò nella sua mente.
La nuova luce aveva ora riflessi divini, che si riflettevano sul volto di Ruben che fu scaldato da un nuovo colore. Ogni cosa veniva vista da lui con un senso nuovo, umano e divino a un tempo: il blu intenso dei lapislazzuli visti in San Lorenzo rappresentava la ritrovata pace. Cristo era la luce dorata, il più acceso dei contrasti: un Dio che si fa uomo perché l'uomo diventi come Dio.
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