romanzo di Ada Pirocolpo (1994)


"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"

ERACLITO, Frammento 52 (Diels)

19/08/11

Capitolo 11 - PIOGGIA DI COLORI E SIMPOSIO

Ruben aveva sempre pensato che un'amicizia con una donna fosse impossibile. Era stato triste l'epilogo del suo rapporto con Scozia che gli aveva lasciato una ferita ancora viva. Egli non voleva rivangare il passato, eppure a Ruben sarebbe piaciuto stringere con lei un'amicizia ma tale legame con una donna era inequivocabilmente sempre un preambolo di un rapporto più intimo. A parte Scozia, tutte le amiche di Ruben erano diventate le sue amanti; tutte eccetto una: Mirta, che dopo essere stata amante di Ruben, seppur non corrisposta, era rimasta davvero una cara amica.
In questi anni Ruben aveva visto molte volte Mirta: con lei si era consultato per alcune sue determinanti decisioni; con Mirta, Ruben formava una coppia affiatata, non più di amanti ma di confidenti, e i due amici continuavano a frequentarsi. Il loro rapporto, già intrecciatosi con quello di Eros, rimase inalterato nel tempo, finché Eros in una sera grigia d'autunno andò a casa di Ruben: qui fu accolto dalla famiglia con molta cordialità, mentre attese l'amico ancora impegnato all'Ateneo di pittura. Tornato a casa, Ruben fu felice di  trovare Eros. Un forte e caldo abbraccio legò ancora una volta il loro affetto, immutato nelle tinte ancora originali, le stesse del giorno in cui si erano conosciuti. Dopo una cena, alla quale la famiglia di Ruben volle insistentemente che Eros partecipasse, i due amici poterono parlare tutta la sera. Eros aveva riflettuto a lungo in questi anni: la sua amicizia con Mirta era sempre... viva. Due persone Eros aveva nel suo cuore: proprio quelle due: Ruben e Mirta. E ora Eros aveva deciso di sposare proprio colei che un tempo amò Ruben; ma volle comunicarne l'intenzione a Ruben prima che a lei, quasi per chiedergli un permesso.
Dapprima Ruben mostrò una grande sorpresa nell'accogliere la notizia; ma la meraviglia si tramutò subito in gioia. Eros rappresentava la più bella allegoria di Ruben stesso: egli si poteva così unire dunque a Mirta, che altri non avrebbe voluto se non Ruben stesso;  tali due parti avrebbero trovato così congiunzione nel legame, e Dio stesso avrebbe vegliato su di loro nel sacramento nuziale.
Ruben vide ricolorarsi, nella celebrazione di quelle nozze,  ogni sua esperienza affettiva.
Egli sentiva il profumo della novità, della vendemmia, dell'uva fragola, del mosto... Vedeva ora con distacco quegli ancestrali limoni rimasti impressi nella sua memoria. Era terminato un importante periodo della sua vita. Questo matrimonio segnava una svolta irreversibile. I fiori d'arancio prendevano il posto dell'agro sapore di un limone non ancora maturo. Come nella notte della festa patronale nella quale i fuochi d'artificio si stagliano nel cielo e si vedono dai lungarni, così si colorava di festa adesso anche l'inconscio di Ruben. L'incontro tra Mirta ed Eros, ora uniti come non mai, fu vissuto con percepibile emozione da ognuno dei tre vecchi amici.
Ruben fu chiamato come testimone di nozze da Eros.
Il matrimonio avvenne a Santa Croce.
Una cascata di nuovi colori iniziò a sgorgare dal simposio d'Amore, celebrato in quel sacrario. Tutti erano riuniti per ricominciare una nuova vita, un nuovo romanzo: perché anche qui il romanzo è vita e la vita è romanzo. 
Fu un simposio al quale tutti i vecchi amici di Ruben convennero. Erano lì presenti con loro, al di qua  nello spazio, anche i grandi uomini del passato che col loro fulgido esempio parteciparono a questa festa, al di là del tempo; trascoloravano dai secoli: l'azzurro di Galilei, il rosso di Buonarroti, il giallo di Alfieri, il  verde di Foscolo...
Dopo il rito, scandito da silenzi e suggestioni, Ruben si ritrovò in un altro momento del simposio, che vedeva insieme tutti i personaggi della sua vita, del romanzo di cui Ruben era protagonista. Questo convito aveva una variante: adesso Ruben vedeva e ascoltava, senza essere più protagonista, tutti coloro che erano stati determinanti nella sua affettività:

Silvestro, che seppe riempire la vita di Ruben d'allegria, di esuberanza, di rumori, di goliardia, di comicità spesso involontaria, di goffaggine reale, di inquietudine, di amore per lo sfoggio; da Silvestro emanava una luce verdolina...














Fabrizio, che ancora scandiva le giornate di Ruben facendosi vivo di quando in quando con la sua presenza malinconica, emotiva, sofferente, giocherellona, bisognosa di protezione, a modo suo anche attenta ai dettagli dell'altrui delicatezza: emanava da lui una rassicurante luce notturna...












Riccardo che, pur nella sua sincerità a volte poco diplomatica, trasmetteva onestà e limpidezza, ricercava una morale rigorosa, retta, fatta di buone intenzioni; il suo affetto per Ruben ebbe solidi radici, senza secondi fini: emanava da Riccardo una luce chiara e fluorescente...













Scozia, che aveva portato per la prima volta (e poi tolto per le volte seguenti) nel cuore di Ruben il primo desiderio d'amore verso una donna: da lei emanava un turbinio di colori in fermento...













Thomas, sempre... attuale, sempre... presente, sempre... rassicurante, sempre... padrone della situazione, il signore dei rapporti interpersonali, gentile, concreto: da lui e da Marella emanava una luce vermiglia...
















Sebastiano, che rinnovò il sentimento dell'amicizia in Ruben, facendo sorgere in lui il desiderio di fraternità o di paternità:  per Ruben, Sebastiano era come un fratellino, se non come un figlio: da lui emanava una luce serena e celestiale...















Nereo: anch'egli era presente! 
Eppure per nessun altro avrebbe partecipato a un matrimonio. Perché allora c'era anche lui? Eros, l'Amore con la A maiuscola, era stato capace di realizzare davvero l'impossibile. Eros seppe unire anche ciò che sembrava diviso per sempre... come il cuore di Nereo stesso: da questa profondità emanava una luce sinistra, oscura, misteriosa...












L'unico che mancava all'appello era Blue Bill, che ormai viveva in uno stato sempre... più... simile a quello vegetale.

La ragione prevalse sul sentimento. La ragione assembrò in un'orchestra di colori quelle vite e diresse una sinfonia dolce ed equilibrata nei suoi temi e nelle sue fughe, che pervase l'animo di Ruben. Egli ringraziò, in cuor suo, tutti gli amici per ciò che gli avevano dato fino a quel momento. Essi contribuirono a far germogliare in lui gemme preziose di puro amore, talvolta non subito riconoscibile,  per l'esistenza. Giungeva così il momento in cui queste gemme fiorirono. Ruben volle cogliere quell'attimo fuggente intimandogli di fermarsi: in quella festa nuziale s'era dipinto un affresco dugentesco dell'amicizia nell'animo gentile di Ruben. Sovvenne alla sua memoria il sonetto dantesco: "Guido, i' vorrei che tu Lapo e io". 







Quel vagheggiare, quell'aria incantata... ogni cosa era stata per Ruben una sequela di suggestioni colorate che avevano impressionato di colori accesi la camera oscura della sua percezione; ciò  aveva prodotto effetti positivi e negativi in lui. Dopo la conversione egli si diede alla lettura di opere di alta spiritualità e fu molto consolato nel venire a conoscere come i mistici, i religiosi, i santi vissero le loro relazioni affettive. 

Ruben fu colpito dal legame che strinsero il beato Giordano di Sassonia e la beata Diana d'Andalò, un'amicizia vissuta nell'alveo della protezione e della consolazione divina: questa era la nuova aspirazione di Ruben.

Egli era ignaro di quanto avrebbe ancora potuto conoscere salendo le scale mistiche della sapienza ed entrando nelle stanze e nei luoghi in cui lo avrebbe guidato ancora Madonna Amicizia nel suo sacro convento. In quei corridoi infiniti e in quei saloni, tra quegli specchi, ormai Ruben si era a lungo aggirato senza mai tediarsi, ma non aveva ancora riconosciuto la più prelibata delle forme dell'amicizia, cioè l'amore nella sua più particolare  e intima luce, ciò che comunemente è chiamato amore, ossia quel sentimento che poteva esser solo corrisposto in una relazione fra sessi opposti, secondo Ruben; egli sentiva avvicinarsi sempre... più... quel momento da che l'amico Eros, il suo alter ego,  sposandosi con Mirta - frutto proibito fino a quella sacra unione - aveva così spianato il terreno per nuovi viaggi intorno all'orizzonte iridato dell'Amore e dell'Amicizia.


Come Acate con Enea, così Eros con Ruben si dirigeva accompagnandosi in un viaggio interiore, introspettivo; come il minatore che scruta nelle grotte più profonde alla ricerca di mondi nascosti. E così Ruben/Eros continuò a ricercare dentro se stesso.

Al fondo della grotta egli trovò, infine, proprio se stesso.
La sua ricerca ispirata da un romantico desiderio, alla maniera di Novalis, era indirizzata a rintracciare il tempio di Sais, ovvero la dea Iside in persona. Proprio ora la tonalità dell'animo di Ruben assunse un riflesso pregiato: l'oro e e l'argento brillavano procurando un irreale luccichio che trasfigurava ogni cosa; egli aveva fatto tesoro dell'insegnamento dell'Amore. Un amore prima inconsapevole lasciava il posto ora a quello sempre... più... consapevole.


La conversione trasformò Ruben in un uomo nuovo?

Sì, ma soltanto poiché egli non rinunciò neanche a una scintilla colorata del suo passato. Ruben teneva sempre con sé, vivo, ogni antico ricordo: ricordava proprio tutto; cercava di adattare il passato al nuovo orizzonte che gli si prospettava davanti. 
Ciò che prima per Ruben era considerato buio e oscuro adesso acquisiva un senso definito, la notte era fatta di riflessi sereni. 
Per sempre... s'impresse nel cuore e nella mente di Ruben la citazione di una sinestesia pascoliana: "Dormi! Bisbigliano, dormi! Là, voci di tenebra azzurra".  

Ruben poteva ora dormire tranquillamente, sotto un crepuscolo sereno. Per converso, in vero, egli così rimaneva desto: anche il sonno diveniva destarsi. Ruben imparò a essere un po' desto anche dormendo, mentre già, da sempre..., egli aveva vissuto l'opposta condizione: l'essere un po' sopito durante la veglia diurna. 
Ciò permise a Ruben di comprendere i suoi sogni e di accorgersi che molto di ciò che sembrava a lui vivere nella realtà diurna non era che un sogno.




Una cascata sfolgorante di fuochi d'artificio segnò, ancora una volta, la notte fiorentina di San Giovanni Battista.
Ruben riconobbe il formarsi delle colorate figure di fuoco nel cielo notturno - come si fa con le nuvole - che riflettevano immagini provenienti dal suo inconscio profondo.  Ruben vi riconobbe mostri marini dalle superbe fattezze, un brulicare di esseri proteiformi dalle più disparate sembianze: tutte quelle figure, considerate a una a una, sembravano pervadere e disperdere la fantasia di Ruben ma, assembrate, riunivano i tratteggi di un volto al tempo stesso umano e divino che scompariva e compariva. Questo intravedersi non si fece mai chiaro. Quella fantasia rifletteva una policromia mitologica, ove risuonava una polifonia dodecafonica. Tutto ciò era la rappresentazione visionaria della fede nell'unico ispiratore, nell'unico arché di ogni cosa: il vero pittore, il disegnatore della storia di Ruben e dei suoi colorati amici: l'uomo/Dio colorato era Cristo proiettato nella vita di Ruben.
Il rosso del sangue di Cristo, che scorre eternamente bagnando le zolle della terra per redimerla, aveva da sempre... inebriato Ruben prima ancora che questi, solo ora, potesse riconoscerlo come suo.

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