romanzo di Ada Pirocolpo (1994)


"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"

ERACLITO, Frammento 52 (Diels)

11/08/11

Capitolo 6 - L'ACCESO SGUARDO DI FIAMMETTA

Ruben si recò a Vienna, e trascorse due giorni di maestosa contemplazione. I suoi ricordi più intensi erano legati alla cattedrale, lo Stephansdom e al Kunsthistorisches Museum. La pittura grottesca di Pieter Bruegel il Vecchio lo affascinò in modo segreto e piacevole. 

A Vienna, però, Ruben si recò per vedere Riccardo. Anch'egli fu lieto di incontrare, dopo molti anni, il vecchio amico Ruben. Entrambi decisero di andare ad ammirare i grandi monumenti e le opere d'arte: 

dal palazzo della Secessione e, in particolare la Beethoven Frieze di Gustav Klimt, all'Augustinerkirche, con il memoriale a Maria Cristina d'Asburgo-Lorena scolpito da Antonio Canova, e la Herzgruft, contenente i cuori di 54 membri della famiglia reale; soprattutto, i due amici si soffermarono a guardare l'imponenza dell' Hofburg, che tanto emozionava Riccardo che si sentiva, ammirando il palazzo, naturalmente viennese.


 Al suo rientro a Firenze, Ruben portò nel cuore il consiglio dell'amico Riccardo: "Aspira sempre ai carismi più alti!". E così Ruben rammentò quel brano di san Paolo, tratto dalla Prima lettera ai Corinzi (12, 31),  che in passato già lo colpì. Ruben apparteneva a una famiglia cattolica; fino ad allora, però, egli non aveva mai approfondito la sua esperienza spirituale. La figura di sant'Agostino, tuttavia, lo aveva molto affascinato e quasi gli sembrava di assomigliare ad Agostino stesso, ma soltanto nella prima parte della poco santa esistenza del santo. Ruben, fino a quel momento della sua vita, aveva visto la Chiesa col filtro di un istintivo rimprovero da lui rivolto a quella casta meretrix, piena di contraddizioni tipiche della natura umana, che pur aspira a una vita di santità. Ruben ora si sforzava, naturalmente attratto da un nascosto sentimento, di approfondire anche un'esperienza ascetica e religiosa. Ruben coltivò l'abitudine di frequentare i Vespri cantati, al termine della santa Messa in cattedrale. Qui egli incontrò nuovamente quella enigmatica e piacevole donna, il cui sguardo lo aveva incantato: Fiammetta.


Ruben cercò Eros, che ormai da oltre un anno viveva da solo in quella che fu la loro comune dimora, "parva sed apta" eis. Eros continuava a credere negli ideali del comunismo ma non per questo ruppe con Ruben la sua amicizia. Eros, appena vide l'amico presentarsi da lui, lo abbracciò con forza e lo accolse con l'entusiasmo di sempre. Eros ascoltò, con estrema attenzione, quanto Ruben ebbe a comunicargli. Nel frattempo,  Eros si era laureato in psicologia e poteva fornire risposte più scientifiche all'amico sui suoi problemi amorosi. Ruben era giovane ma si sentiva ormai più maturo, e ripensava  ai tempi della trasgressione vissuti con Mirta ed Eros stesso come definitivamente superati. Eros sapeva che, invece, ciò non corrispondeva alla realtà e, da scaltro psicologo, avvisò  di questo l'amico Ruben il quale, per partito preso, era scettico.

Due giorni dopo, Ruben si vide con Fiammetta. Dalle labbra di lei sbocciò un roseo e tenero bacio, che Ruben ricambiò. Egli era particolarmente sicuro di sé: pensava di avere imparato a esercitare il dominio delle passioni, il controllo, la razionalità in ogni situazione. Ormai egli  credeva di poter fronteggiare e vincere la tentazione e il pericolo.  Ruben pensava di avere saldi i piedi per terra e non rincorreva più i segni e le chimere fantastiche d'un tempo per lui passato... o rimosso?
Fiammetta e Ruben s'incontrarono, in un grigio giorno d'inverno, nell'irrigidita Firenze, che offriva ai suoi cittadini anche decine di gradi sotto lo zero e una muschiosa umidità.
Tra Ruben e Fiammetta stava stranamente evolvendo un intenso rapporto affettivo. Essi si baciarono, si abbracciarono, seduti nel giardino di piazza Indipendenza. Altre volte, si trovarono al giardino della Gherardesca o vicino agli Orti Oricellari. Fiammetta abitava in una villa in Costa de' Romagnoli, presso il Belvedere. Ruben e Fiammetta, infreddoliti, raggiunsero in carrozza la di lei dimora. Ruben si presentò ai genitori della fanciulla ricevendo un'accoglienza calda e serena. Egli s'accorse che quella famiglia, subito, lo conosceva bene: Fiammetta ai suoi genitori aveva parlato già di lui. E, soprattutto, Ruben godeva di buona fama a Firenze, da quando s'era dedicato all'insegnamento: egli era riuscito a entrare alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi. Apprezzato ricercatore, il dottor Ruben vantava, dal canto suo, una buona notorietà d'opinionista. Egli scriveva anche sulle pagine culturali del principale quotidiano fiorentino. Fiera di ospitare Ruben, la famiglia di Fiammetta gli propose di trascorrere la fredda e piovosa serata da loro e, perciò, di trattenersi anche per la cena. Così Ruben fece e,  in quell'occasione, ancora i suoi occhi si persero in quelli di Fiammetta.
Dopo cena, Ruben ammirò alcuni dipinti che la famiglia di Fiammetta gli mostrò. Egli non riusciva, però, ad apprezzarne le sfumature dei colori, poiché la sua vista era abbagliata ancora dallo sguardo di Fiammetta. Finita la serata, dal padre di Fiammetta in persona, a Ruben fu chiesto di fermarsi per la notte. Egli quasi non credette a tanta disponibilità, e accettò, dopo qualche vano tentativo formale di rifiuto. Trascorse una buona notte e, al mattino, si ritrovò per la colazione con la famiglia di Fiammetta e con lei.
Nuovamente il brillare dello sguardo di Fiammetta accese strane e recondite sensazioni in Ruben, che egli credeva di avere ormai sopito per sempre. Fu così che arrivarono i giornali del mattino, col relativo articolo di Ruben, già preparato da tempo; allora il padre di Fiammetta si compiacque di poter direttamente commentare quell'elzeviro alla presenza del suo autore: l'articolo riguardava la ricerca universitaria. Il padre di Fiammetta sognava un impiego all'Università per la figlia, da molto tempo. Il nostro giovane ricercatore non colse chiaramente ogni parola del padre di Fiammetta, perché proprio allora - d'un tratto - Ruben comprese qual era la  rappresentazione mentale che egli associava  naturalamente allo sguardo di Fiammetta. Finalmente, Ruben arrivò alla soluzione dell'enigma che aveva impegnato il suo pensare da quando egli aveva conosciuto Fiammetta. Ruben si ricordò dove aveva già visto le sembianze del volto di Fiammetta: nel ritratto di Monna Lisa.

Sì, Ruben, per la prima volta, aveva visto quel ritratto a sei anni, frequentando la prima elementare e non aveva mai dimenticato quel momento, senza conoscere di ciò il motivo.
Il piccolo Ruben aveva percorso gli amplissimi corridoi, pieni di specchiere, della sua mente, simili agli stessi corridoi della sua scuola che, allora, gli erano parsi ancor più vuoti e lunghi. Tra le centinaia di riproduzioni fotografiche di famosi dipinti, uno, con marcata impressione, colpì la sua attenzione. Era proprio il capolavoro di Leonardo. E così, ogni volta che percorreva quel corridio, Ruben, con i suoi corti calzoncini, il suo grembiulino nero e  quel rosso farfallino della divisa scolastica, a piccoli passi,  ammirava e rimirava, anche fermandosi cinque minuti, la dolce e misteriosa donna della quale non conosceva né nome, né voce, ma che sicuramente di familiare per lui aveva lo sguardo.
Ruben si riprese dall'incanto, che per un attimo aveva impegnato la sua memoria e continuò a bearsi dello sguardo di Monna Lisa, fissando gli occhi di Fiammetta.

Ruben lasciò quella casa con la promessa di rivederla presto.
Intanto, scendendo la scala della villa, gli venne in mente il momento nel quale Eros gli aveva detto: "Non spegnere la tua capacità di amare. Sciogliti! Non credere di doverla controllare e rinchiudere in una scacchiera ordinata. Tu non stai giocando a scacchi: non devi ipotizzare e indugiare troppo; ogni tanto, corri nelle più selvatiche radure del tuo inconscio, recupera il rimosso e non accontentarti di intime risonanze, della superficiale quiete da te raggiunta soltanto perché cercata! Affronta gli affetti ed esplicita le tue emozioni". Ruben, tuttavia, resisteva e, pur avendo pensato di far visita a Eros, quel giorno, non vi andò.

All'Università Ruben aveva un caro collega soprannominato Orange. Egli era un nobile e giovane professore inglese. Aveva in comune con Ruben l'amore per la raffinata cucina fiorentina.
I due colleghi intessero un'amicizia, ricamata con inviti a cena nei locali più caratteristici di Firenze: qui discorrevano prevalentemente di filosofia. Ruben invitò Lord Orange vicino a Borgo San Lorenzo, in quei giorni, a mangiare in un'ottima trattoria nella quale parlarono molto. Lord Orange era pragmatico e ciò di lui piaceva a Ruben, che non era certamente un uomo pratico, benché cercasse di diventare tale. E, infatti, fu complementare la loro amicizia: l'uno aggiungeva a sé prendendo dall'altro ciò che gli mancava. Ruben, tuttavia, aveva un gran timore della sua personale creatività, un po' fuori dal comune; e rincorreva certezze, frequentando Lord Orange che, ogni giorno, trovava all'Università. Inoltre, Lord Orange era molto buono e disponibile con tutti, non come il vecchio Riccardo, per quanto la pragmaticità fosse comune sia a Riccardo sia a Lord Orange, e - soprattutto - quest'ultimo era generoso con i più bisognosi d'aiuto. Non per questo, tuttavia, Lord Orange era incline a concedersi a chiunque fino a perdere la sua dignità: egli era politicamente un uomo all'inglese della destra liberale, ma non disdegnava i buoni rapporti con le sinistre; rifiutava ogni dogmatismo, non agiva mai per partito preso. Ruben gli divenne, ogni giorno, più amico; finché insieme essi arrivarono a parlare anche di Fiammetta, cercando di studiarne i tratti caratteriali. Ruben, un pomeriggio, trovandosi a sfogliare una rivista d'avanguardia letteraria, fu colpito da varie rappresentazioni di dipinti.






L'Occhio di Mongolfiera di Odilon Redon fu per lui un richiamo preciso, seppur inspiegabile; era un invito per Ruben a sondare il mondo del simbolico, una disillusione e una fuga dagli inganni della realtà.






















Sfogliando ancora le pagine della rivista, Ruben si trovò di fronte l'immagine a colori del dipinto Les Demoiselles d'Avignon di Picasso. Proprio allora, Ruben fu preso da un fremito nostalgico e trasgressivo che lo riportò un po' indietro negli anni. Affiorò alla sua mente il ricordo del caro amico Eros, che non aveva mai abbandonato, anche se  non lo incontrava frequentemente da qualche tempo.

Ruben fu invitato a passare le vacanze di Natale dalla famiglia di Fiammetta. Egli, però,  aveva appena promesso a Eros, spinto da un senso di colpa nei confronti dell'amico trascurato, di andare da lui a trascorrere parte delle vacanze. Così, nel dubbio, egli ne volle parlare proprio con Eros, incontrandolo un mattino, sapendo che questi riusciva a sistemare facilmente  ogni situazione. Eros disse: "Potresti chiedere se da Fiammetta c'è un posto anche per me". Ruben, di indole timorosa, lo escluse in quanto non si sentiva di essere invadente. Non fu necessario, tuttavia, neanche chiederlo a Fiammetta, che casualmente  era dietro a loro, mentre passeggiavano nel Giardino di Boboli.
"Non c'è alcun problema. Vi aspetto oggi stesso!" esclamò Fiammetta.
"Fiamma!" disse voltandosi di colpo Ruben. Fu la prima volta che egli la chiamò così: con la complicità della sorpresa, ciò avvenne spontaneamente; l'evento prefigurava il divampare di una passione sempre più ardente. Non ebbero bisogno d'altro Ruben ed Eros, che si trovarono da Fiammetta e dai suoi familiari a festeggiare un luminoso Natale. Proprio nella villa di Fiammetta ormai si preparava a scoppiare un incendio da una scintilla incandescente.

Si concludono così le tre fantasie vagheggiate da Ruben, inebriato dai dolci fumi dell'amore.
Qui viene descritto il grande momento, tanto atteso, della consumazione dell'unione amorosa fra Ruben e Fiammetta, benedetta dal dio dell'Amore.


LA STANZA ROVENTE
Mentre Ruben ed Eros dormivano placidamente nella camera loro destinata, si aprì uno spiraglio di luce...

Eros vide la porta muoversi.
Incrociò le gambe.
 Si sedette sul suo letto, invitando la bionda fanciulla a entrare e a sdraiarsi accanto a Ruben.
Solo un lenzuolo di seta copriva quella fanciulla misteriosa.
Eros, nella sua intimità, era coperto da sole corte brache di tela rossa e, a gambe incrociate, incominciò a levitare, quasi fosse in estasi, a occhi chiusi:
Eros si alzò fino al soffitto e poi scese fino a metà stanza raggiungendo, sospeso in aria, l'altro letto ove giaceva la fanciulla accanto all'amico.
Ruben si svegliò dolcemente perché la fanciulla gli dispensò un caldo bacio sulle labbra.
Ruben esclamò ancora una volta: "Fiamma!".
Allora la stanza si colorò di vermiglio.
Iniziò a suonare una musica ancora irriconoscibile.
Dal corpo di FIamma scomparve magicamente ogni abito e anche da quello di Ruben.
Essi iniziarono ad amarsi.
Ora Ruben sapeva di amare davvero, a differenza del tempo passato.
E doveva sempre ringraziare Eros, che non lo aveva mai abbandonato nonostante lo scetticismo e l'allontanamento che Ruben stesso aveva dimostrato nei suoi confronti.
 Divampò una notte di incendio acceso sulle note sempre più riconoscibili del
Tristano e Isotta di Richard Wagner.
Una notte da favola, piena di profumo d'incenso, che rendeva sacro il momento.
I freddi piedi di Fiamma si scaldarono strofinandosi su quelli di Ruben.
Le loro braccia riscaldarono il loro brivido.
Mentre Eros, sovrano, completamente appagato, sempre sospeso in aria sopra l'alcova degli amanti, si alzò.
E come se sotto le piante dei suoi nudi piedi vi fossero dodici gradini d'una invisibile scala, li percorse sonoramente all'indietro, alla sua comica caratteristica velocità. 
Infine, egli posò i piedi sul caldo pavimento della stanza infuocata d'amore e inevitabilmente si bruciò.
Dovette prendersi con le mani ora un piede ora l'altro, soffiandovi sopra, veloce come si può vedere in alcune sequenze tipiche dei film di Pasolini.
Eros saltellava come un capriolo per tutta la stanza e, allora,  per non scottarsi oltremodo decise di gettare dell'acqua.
La stanza si colorò d'azzurro e si riempì d'acqua fino al soffitto.
I due amanti e l'Amore nuotavano nella stanza, ormai diventata la vasca di uno splendido e luminoso acquario.
In esso v'erano tre tipi di fauna ittica variopinti:
un piccolo pesce giallo a righe vermiglie e due pesci d'un rosso scarlatto molto brillante.
I tre pesci bevvero l'acqua presente nella vasca, fino all'esaurimento e ritrovarono le sembianze dei loro nudi e apollinei corpi umani, aggrovigliati come i capelli di Medusa o come Laocoonte con i suoi figli divorato dai serpenti.
Un senso di malinconia allora attanagliò la fervida immaginazione produttiva di Ruben che, ancora una volta, proprio ora stava per esser rapito da una crisi scettica.
Allora Eros se ne accorse e, veloce come un fulmine, al suono del dio della guerra, prese sulle spalle l'amico, come già fece Enea col padre Anchise.
Così corse raggiungendo un centinaio di chilometri orari lungo il corridoio della villa, scendendo la scale veloce come la luce e forte come il tuono.
Uscirono oltre il portone, sotto la neve che scendeva leggera e silenziosa sui loro due corpi nudi, proprio sotto la finestra aperta di Fiamma, che guardava Ruben, mandandogli baci arroventati.
Ecco:
la crisi di Ruben si placò, ed Eros poté riportarlo su da Fiamma.
Eros s'arrampicò con la sua accelerazione caratteristica sul muro della villa, portando sulle spalle Ruben verso la finestra di Fiamma: 
qui entrarono di nuovo.
Ecco i tre giovani avvolti dalla vampe di una spira accesa e infuocata, ove non si capì più nulla.
Neanche un analista attento avrebbe potuto interpretare gli eventi.
L'irrazionalità ebbe il sopravvento nel dominare la passione.
I corpi di Amore e dei due amanti si confusero nel marasma, muovendosi a vertiginose velocità e raggiungendo forme simili ora ai Prigioni, ora al David di Michelangelo, ora alla Primavera del Botticelli.
Ed ecco queste immagini assunsero colori vivaci fino a rappresentare, di Picasso, le Demoiselles
e la Donna seduta sopra una sedia.
Il culmine della sequenza di rappresentazioni avvenne nella privazione di forme razionali:
qui il colore ebbe il sopravvento e dominò, come nelle opere di Kandinskij
Quadro con tre macchie, 

Grave Forma

e di
Paul Klee
Porto Fiorente.

 La serenità riconquistò Ruben che, di buon mattino, si svegliò felice come un bambino accanto a Fiamma, mentre Eros, esausto, dormiva profondamente, steso ai loro piedi.
Con circospezione, Ruben si guardò intorno.
prese per mano Fiamma e aprì la porta per accertarsi che nessuno ci fosse e, dopo averle ridato il lenzuolo per coprirsi, la fece uscire perché guadagnasse la sua silenziosa stanza, orfana di lei in quella notte di fuoco.
Così Ruben chiuse la porta.
Si voltò e davanti a lui, appoggiato col braccio a una colonna dorica materializzatasi all'improvviso, trovò alzato Eros che ritmicamente batteva il piede destro a una velocità assurda, dicendo saccentemente a Ruben:
"Cosa ti avevo detto? Mio alter ego?"

FINE DELL'ULTIMA FANTASIA

Fu così che Ruben imparò ad aumentare la sua capacità di amare, senza rinunciare alle parti irrazionali e surreali della sua fervida fantasia. Pur aveva cercato di addomesticarla attraverso la frequentazione di Eros e, nel passato, anche della fornaia Cantucci. Da ultimo, però, Eros guidava Ruben, senza amor di lucro ma piuttosto facendogli lucrare amore.
Ruben, da anni, aveva ormai pietrificato la sua creatività e la sua vena artistica nei segni del suo lapis rosso-blu e nello svolgere la sua professione di insegnante. Agli esami Ruben era un professore molto temuto per la sua irascibilità e per la sua indiscutibile autorevolezza. Presto, Ruben  raddolcì il suo carattere, senza perdere quella giusta dose di severità necessaria nel lavoro di un insegnante.

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