romanzo di Ada Pirocolpo (1994)


"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"

ERACLITO, Frammento 52 (Diels)

26/08/11

Capitolo 15 - IMPRESSIONI A COLORI

Ardesia conteneva il colore come una lavagna sulla quale dei gessi colorati imprimono il loro effimero tratteggio che qualcuno, cancellando, riduce a un alone. Così la giovane ricercatrice s'aggirava per la sua città, piena di determinazione e ricca di interesse, forte per la sua tenacia e, a un tempo, tenera per la sua sensibilità. La primavera sbocciò in quella Torino nella quale fiorivano le forsizie, i gialli fiori di San Giuseppe, quelli rosei di pesco e quelli bianchi di ciliegio sui rami degli alberi nei viali che separano i controviali delle lunghe strade ossessivamente regolari che anche Nietzsche amò. Ardesia desiderava rinnovare i colori vellutati della sua esistenza proprio come chi vuole rifare il salotto buono ma non aveva ancora le idee chiare. Quell'anno si recò a Monaco e, ancora una volta, ella rimase colpita da un dipinto fiammingo. Stavolta fu Rubens a colpire la sensibilità della giovane professoressa: il quadro che impressionò Ardesia fu l'Autoritratto con la Moglie del pittore.  L'immagine di un marito e una moglie ritratti insieme era per Ardesia tutto quello che lei voleva e che non aveva... Un palpito di commozione improvviso le impedì di continuare  a contemplare quel quadro: Ardesia respirava l'infinito  stesso guardando soltanto una rappresentazione di sentimenti su una tela; la sensazione era tale che ella scoppiò in un pianto e fuggì di corsa dalla pinacoteca.

Proprio in quell'anno, in cuor suo, Ardesia decise di chiedere a sua madre Serena di raccontarle la sua storia. Finalmente Serena parlò tra singhiozzi e lacrime con ammirevole pazienza e onorevole coraggio, e raccontò tutta la sua storia a sua figlia. Ardesia, per la prima volta, in modo netto, venne a conoscere le sue origini e quella notte non poté chiudere occhio. Non vi riuscì neanche Serena e, allora, le due donne si ritrovarono in un affettuoso e commovente colloquio a rivedere la loro triste storia sotto un pallido chiarore lunare. Il giorno dopo, i pianti e i singulti lasciarono il posto alla calma più quieta e Serena e Ardesia riuscirono ad addormentarsi solo quando il sole ormai si levava nello sfolgorante azzurro del cielo.

Ardesia e Serena trascorsero, da allora, lunghi pomeriggi al Valentino per conversare tra i fiori e i profumi della primavera; fra loro si intrecciò un dialogo sempre... più... tranquillo, e si recarono nel centro della loro città, frequentando luoghi suggestivi e guardando solenni architetture:  la lapide sotto la casa di via Carlo Alberto, nella quale Nietzsche scrisse Ecce Homo; Palazzo Barolo del Baroncelli, in cui visse i suoi ultimi anni e morì Silvio Pellico; il bel barocco della chiesa dei Santi Martiri - ove è sepolto De Maistre -, progettata da Pellegrino Tibaldi in epoca rinascimentale; e, sempre del Rinascimento,  il Palazzo Scaglia di Verrua con i suoi affreschi sulla facciata e il bellissimo cortile; via Garibaldi: in età romana qui c'era la Porta Segusina in direzione di piazza Statuto verso il decumanus maximus dell'antica Augusta Taurinorum, la via più antica di Torino. Piazza Emanuele Filiberto, la chiesa di Santa Chiara del Vittone; il vicolo e la piazza della Consolata,  il campanile romanico di Sant'Andrea, lo storico Al Bicerin,  rimasto com'era all'epoca di Cavour e Puccini. Ardesia guardava, verso le tre del pomeriggio, il sole che penetrava i porticati di Piazza Vittorio, passeggiando sulla sinistra andando verso la collina: allora poté capire quanto De Chirico ne fu affascinato nel fissare sulle sue tele quelle inquietanti, lunghe e tetre ombre dei portici riflesse sulle lose assolate della pavimentazione. Il dialogo fra Ardesia e Serena si faceva, per converso,  sempre... più... tranquillo.

Serena ritrovò la pace ed ebbe il desiderio di continuare a viaggiare. Così, con sua madre, Ardesia decise di recarsi nelle più interessanti città italiane, poiché doveva completare la sua ricerca sul colore, e approfittò della borsa di studio offertale dall'Università per regalare alla madre degli indimenticabili momenti. Serena, a sue spese, volle seguire la figlia: entrambe fecero appoggio a conventi e a case religiose che offrivano un breve soggiorno a buon prezzo, e che Ardesia in passato conobbe a Torino durante i suoi studi: ciò permise loro  di muoversi senza sprecare danaro per un periodo relativamente lungo.
Venezia fu la prima meta di quel viaggio in Italia.
Giunsero nella città, ove trascorsero due giorni di turchese contemplazione: San Marco, la Giudecca, Murano, Burano, San Giorgio Maggiore, Santi Giovanni e Paolo, la statua di Colleoni del Verrocchio,
Santa Maria della Salute e le altre architetture del Longhena, Santa Maria Gloriosa dei Frari, San Giorgio dei Greci, la casa di Tiziano, San Rocco, e anche qualche pasticceria come Rosa Salva.
Vetri colorati di blu intenso, rosso e giallo brillavano in quelle trasparenti notti da fiaba.

Serena e Ardesia, passando a visitare l'Abbazia di Pomposa, partirono poi per Ravenna.
La lucentezza di quei mosaici, tanto cari anche a Klimt, si rispecchiava in loro: in Sant'Apollinare in Classe la visione del catino absidale trasfigurò l'animo delle nostre due dame. Andarono poi a vedere il Mausoleo di Galla Placidia, la tomba di Dante, il Mausoleo di Teodorico, Sant'Apollinare Nuovo, il Battistero Neoniano, il Battistero degli Ariani, San Vitale.


La meta successiva fu Roma.
Passeggiarono tra i Fori imperiali, la Via  Sacra, videro il Colosseo, Santa Maria in Cosmedin; poi sostarono all'Arco di Costantino e proseguirono verso Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, San Luca Evangelista e, ancora, il Campidoglio, il Quirinale, la Fontana di Trevi, piazza di Spagna e Trinità dei Monti, la casa di Keats, San Luigi dei Francesi, Palazzo Barberini, la Galleria Borghese, le fontane di Roma, le opere del Borromini e del Bernini, l'Estasi di Santa Teresa nella chiesa di Santa Maria della Vittoria nella Cappella Cornaro,  il Mosè di Michelangelo in San Pietro in Vincoli, i Musei Vaticani e le stanze affrescate da Raffaello. Con tenacia adamantina Ardesia prese sotto il braccio la madre, che si commosse nel vedere tanta magnificenza, e la condusse al Pantheon. In quei giorni salirono anche al Pincio e percorsero il Gianicolo e conclusero la visita con piazza Navona, Campo dei Fiori, Trastevere,  Palazzo Farnese e Santa Maria sopra Minerva.


Dopo Roma fu la volta di Napoli. Qui videro Piazza del Plebiscito, il San Carlo,  il Maschio Angioino, Palazzo Malatesta, San Domenico Maggiore, e soprattutto il Museo Archeologico.
Ardesia e Serena non ebbero né il tempo né le possibilità economiche per spingersi più a sud di Napoli e dintorni in quel viaggio. Riuscirono però a recarsi ad Amalfi e a Pompei. Qui Ardesia si ricordò del racconto di Jensen, intitolato Gradiva, che ha per protagonista l'omonimo bassorilievo che ritrae una donna; Ardesia e Serena avevano visto qualche giorno prima proprio quel bassorilevo ai Musei Vaticani: l'eruzione del Vesuvio, che distrusse Pompei in una colata di rossa lava incandescente, pietrificò la giovane Gradiva nell'atto di scappare, ne pietrificò il passo e il cuore rubizzo, e tutto il suo corpo. Anche Ardesia si sentiva coperta di pietra serena, dalla nascita, cioè da quando sua madre aveva cercato di proteggerla dai ricordi più tristi: se Gradiva morì pietrificata, Ardesia nacque pietrificata. Ella aveva voglia di muoversi ma il suo cuore era infelice e non glielo permetteva: questo viaggio rappresentava la prima volta nella quale Ardesia si era lanciata come da un fionda in un lungo e vertiginoso volo nello spazio e nel tempo.  Ardesia, guardando quelle opere d'arte, capiva sempre... più... qualcosa che la riguardava da vicino, nel profondo.









Dopo Napoli, cominciò la forzata salita verso Torino.
Ardesia e Serena però si recarono ancora a Orvieto, Todi, Assisi e Perugia.















Risalirono la china e giunsero a Siena. Indimenticabile fu quel paesaggio notturno visto dalla stanza del convento di San Domenico: quelle mura di cinta illuminate, quelle colline, quel cielo stellato, quella luna piena rapirono  i sentimenti delle due dame. Arrivarono poi a Montepulciano e  avrebbero anche voluto raggiungere  Borgo San Sepolcro, Arezzo e  Pisa, ma non disponevano di soldi a sufficienza. L'Università aveva supportato un po' le spese, e Serena aveva dato un grandissimo contributo  ma, ormai, le risorse economiche permettevano solo il ritorno. Decisero così di fermarsi soltanto due giorni a Firenze: qui Ardesia chiese ospitalità a un ostello, ricavato in un antico convento rinascimentale, vicino a Santa Maria del Carmine a due passi dalle opere del Masaccio.  

 Arrivate a Firenze, visitarono subito Santa Maria Novella e si spostarono verso il Duomo. Ponte Vecchio le collegò con l'altra sponda dell'Arno che percorsero con calma. Visitarono la Galleria d'Arte Moderna e il Museo Opificio delle Pietre Dure. Ardesia fu affascinata dalla Loggia del Bigallo; poi, iniziarono il percorso vasariano, videro il Museo San Marco, e anche il Museo Stibbert.

In questa ricerca, in questo viaggio di lavoro e d'istruzione, ma soprattutto in questa deliziosa fuga nel mondo dell'arte, ora,  desideriamo lasciare sole Ardesia e Serena. Rispettiamo questo momento della loro rinascita nella città della rinascita delle arti. Adesso sempre... più... lasciamole sole ad ammirare i prodigi dei colori perché nell'arte, e nell'origine delle opere d'arte, possano cogliere l'essere.


Noi ci concentriamo sulle vicende vissute da un fiorentino che, dall'inizio della narrazione, ci è divenuto caro e del quale qualcuno comincia a sentire qui la mancanza. Non è nostra l'intenzione di giocare con i suoi affetti come si gioca con i colori ma qui vogliamo seguirlo perché ci siamo realmente affezionati a lui.

In quei giorni Ruben si apprestava a intraprendere un viaggio in montagna con il caro amico Sebastiano. Ma Ruben era sempre... in vena di creazioni fantastiche, era assorto in pensieri che gli facevano quasi perdere la cognizione della realtà. Per lui una gita in montagna era un arricchimento, una sorgente di creatività: dopo ogni gita, Ruben esprimeva le sue esperienze con nuove idee da realizzare.
La mente di Ruben era sempre... in fermento. Egli non si lasciava andare mai al tedio: non conosceva la noia perché egli era sempre... impegnato a valutare, descrivere, produrre idee. Nel microcosmo della sua mente scorrazzavano immagini provenienti dalla realtà esterna e dall'inconscio. Non  dall'infanzia, ma certamente da tempi ancor più lontani,  un carosello di colori  affollava la sua immaginazione: era una sarabanda di pregiate cornici istoriate dai drammatici e comici particolari. Una calca di infiniti caratteri si prolungava e dispiegava nella fervida produzione immaginifica di Ruben. Proprio qui - deposti con cura - albergavano i suoi più affettuosi ricordi, quelli più cari: i legami della memoria erano piegati come i tessuti di pregiate stoffe orientali sfavillanti nel lucido loro realismo; in un magico scrigno tanti ricordi erano rinchiusi e protetti per scongiurare il pericolo di sbiadirsi. L'acuirsi del grigiore della caducità è sempre... in agguato, perciò occorreva preservare la freschezza e il vivido brillare di quei momenti vissuti da Ruben: non furono mai alterati quei colori; da sempre... si rinovellavano come l'acqua che sgorga da una sorgente, ed erano limpidi come il cielo sereno; e se ne aggiungevano dopo ogni nuova conoscenza: così Ruben seppe mantenere sempre... vivi in lui tutti gli amici (cioè i colori) e i colori (cioè gli amici). Ruben provava un senso di eccitazione quando quotidianamente pensava al tempo vissuto con ognuno dei suoi migliori amici, anche i più lontani. Le libere associazioni mentali si stagliavano allora verso la costruzione di opere indicibili della sua mente che disegnavano ambienti, producevano suoni, creavano climi, inventavano profumi di intima evocazione. Talvolta queste fantasie assumevano anche il tono dell'erotismo, quando si condensavano quei rimasugli di sopite esperienze pur provate e perciò ancor vive nell'immaginazione produttiva di Ruben. Poteva essere elettrizzante per Ruben anche un solo colore, o un profumo purché fosse legato al colore; o un rumore sempre... legato però a  un colore e a un profumo; e, ancor più..., se il rumore fosse stato intrecciato alla visione di un paesaggio o di uno scorcio: l'arancione delle tappezzerie di un caffè fiorentino, il legno intarsiato dei tavolini d'epoca, le antiche specchiere dalle cornici pregiate, l'aroma della cioccolata calda, la voce sommessa degli amici, la soffusa e intima luce del crepuscolo autunnale, le belle forme delle ragazze, gli abiti raffinati delle coppie di amanti, la soffice accoglienza delle poltrone in stile impero, gli sguardi che invitavano e chiamavano, gli occhi sorridenti e vispi che davano appuntamenti alla sola fantasia di Ruben, la quale soltanto da questi impulsi partiva e, così, si recava sulle alte e notturne vette del piacere estetico ed estatico. Era una laica contemplazione spirituale, fatta di lampi che squarciavano le tenebre della stessa mediocrità dalla quale era originata trasfigurandola: non si trattava più di momenti volgari o banali, ma di rari e ricercati quadri preziosi, incorniciati e incastonati nell'oro della memoria fra diamanti, topazi, smeraldi e rubini.
Ruben amava la poesia e la considerava il vero preludio alla pittura.

Fervida la sua mente si librava, ogni volta che egli leggeva alcuni versi che racchiudevano immagini e colori, come nella poesia di Rimbaud intitolata Vocali:

A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
Io dirò un giorno le vostre nascite latenti:
A, nero corsetto villoso di mosche splendenti
Che ronzano intorno a crudeli fetori,

Golfi d'ombra; E, candori di vapori e tende,
Lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d'umbelle;
I, porpora, sangue sputato, risata di belle labbra
Nella collera o nelle ubriachezze penitenti;

U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari,
Pace di pascoli seminati d'animali, pace di rughe
Che l'alchimia imprime nelle ampie fronti studiose;

O, suprema Tromba piena di strani stridori,
Silenzi attraversati da Angeli e Mondi:
- O l'Omega, raggio viola dei suoi Occhi!

Ruben ripensava al Giudizio Universale, quando era malinconico. Gli veniva in mente il Cristo Giudice misericordioso di Michelangelo affrescato nella Sistina... e così Ruben associava spontaneamente i versi di Georg Trackl, che Heidegger cita nell'opera In Cammino verso il Linguaggio:

La fronte segna i colori di Dio,
avverte le dolci ali della follia 

E, ancora, Heidegger, nel descrivere i colori di Trakl, alimentava i pensieri di Ruben, quando dice:

Crepuscolo e notte, tramonto e morte, follia e fiera, volo d’uccello e barca, straniero e fratello, spirito e Dio, come anche i termini indicanti colori: azzurro e verde, bianco e nero, rosso e argento, dorato e oscuro hanno sempre una molteplicità di significati. Verde è il disfacimento e il fiorire; bianco il pallore e la purezza; nero la tenebra che occulta precludendo e l’oscurità che cela custodendo; rosso la corposità del vermiglio e la delicatezza del rosa, argenteo è il pallore della morte e lo scintillio delle stelle. Oro è lo splendore del vero e il ripugnante riso dell’oro.

Mancava starnamente l'azzurro in questi colori...

In quell'anno morì Blue Bill.


Ruben iniziava a capire come lo stesso colore può essere visto in modi opposti. E se cambiano le condizioni preliminari, e la nostra vista potesse cogliere i raggi ultravioletti o infrarossi, anche i colori sarebbero percepiti diversamente da noi. Ormai Ruben, fiero di sé,  faceva sempre... più... sue le considerazioni di Kant che dice che il genio è il tramite della Natura che produce arte. E, ancora, capiva  l'affermazione di Goethe secondo la quale l'artista produce arte e così viene assimilato alla Natura.



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